PREMONITION
 

recensione premonition

 
Sandra Bullock ci piace. Non è la solita bellona, non è la solita attrice sfornata alla catena di montaggio di Hollywood. Eccola dunque che incoccia in “Premonition” che le si disegna sul volto con una smorfia continua di paura e disappunto. Parte farraginoso ma bene, preludendo a una pellicola che tutto sommato potrebbe farsi apprezzare, nonostante l’abusato tema della premonizione. Si sveglia una mattina e la bella vita quotidiana (due figlie, un marito prestante, Julian McMahon) pare scomparsa: avverte il cambiamento imminente e riceve la notizia che il coniuge è passato a miglior vita. Si addormenta distrutta e poi riemerge dal sonno: sorpresa, non è accaduto nulla e il marito dorme pacifico accanto a lei. Si srotolano gli eventi precipitando e ogni giorno porta la sua dose di sventura e presagi. Vive una sorta di doppia vita  
 
in flashback cercando disperatamente di venire a capo della faccenda. Altro non vi sveliamo per puro rispetto di trama che s’ingarbuglia fino ad aggrovigliarsi su se stessa senza appello, altro non sveliamo se non che pure nel tentativo di cambiare il futuro, quel che ti spetta ti spetta. Il semiesordiente Mennan Yapo costruisce una babele di aspettative che sdrucciolano sul terreno scivoloso della retorica imbarazzante (la  
confessione al prete ha del penoso) così come nel finale, che regala quel tanto di dietrologia familiare che basta. Il riferimento principale è irraggiungibile, data la non ben calibrata mistura di ambizione e reali capacità, si parla di “Memento” di Christopher Nolan ma pure de “Il Sesto Senso” di Shyamalan. Qui, nonostante la bravura della Bullock che non gigioneggia ma si dà generosamente alla telecamera portandosi tutto il peso e la responsabilità della riuscita del film, naufraghiamo nel mare magnum del tarocco.

(recensione di Daniela Losini )

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