POSEIDON
 

poseidon recensione

 
Poseidone, il dio che non c’era. Basterebbe il titolo, "Poseidon", e lo sguardo di Billy Bob in "L’uomo che non c’era" con la ramazza in mano, quei bianchi che baciano gli scuri. Si, basterebbe questo. Il dio senza qualità, la creatura marina che non c’era e non c’è mai stata, accende, senza volere, la fiamma del peccato: e Wolfgang Petersen fa barba e capelli al cinema mondiale. Vi diranno che è un film catastrofico, che è un esercizio di stile, che è un omaggio elegante ma un po’ manieristico: si, ne diranno di cose. Ma parleranno al Vento. Perché Poseidon è voce off, citazioni ricamate sulle corde di un cast perfetto, un’insondabile e struggente malinconia. E’ uno scarto, la porta che divide il conscio dall’inconscio, la regata dalla crociera, un attimo sospeso tra l’essere e l’immaginare: non proprio il mondo, non solo il sogno (o  
 
l’incubo). Ma una frontiera, sottile, invisibile: è lì che sta di casa Cinema, il dio dei mari. E di mitologia d’acqua salmastra ce n’è a iosa dentro la celluloide e tutt’intorno a noi. Quando ho visto "Lo squalo", da piccolo, mi ci vollero anni per capire che ciò che mi aveva veramente terrorizzato era il fatto che Steven Spielberg avesse trasformato l’Oceano stesso in uno squalo. Per la prima ora di film, infatti, lo squalo  
non lo vedi nemmeno. Dopo tutto, una creatura marina non è tanto paurosa, ma se la rendi un fantasma, se la trasformi in un qualcosa di organico, in un transatlantico, in un ambiente naturale ottieni nello spettatore un sicuro effetto-panico. Se pensiamo che per più di un secolo il cinema è stato la “cosa” che ci ha presentificato il mondo conservandone l’impronta, "Poseidon" è allora, davvero, un grande film-epocale sul cinema/mondo. O sulla nostalgia di un mondo capace di farsi cinema. Per noi navigatori/naufraghi in un Oceano virtuale zeppo di cose e sempre più privo di mondo, davvero un film sulla nostalgia. Su tutti i Wilson – il pallone bianco da volley che in "Cast Away" diventa l’amico immaginario di Tom Hanks – che abbiamo perso e stiamo perdendo. Nella consapevolezza che non c’è ritorno, mai: dopo ogni naufragio non si torna indietro. Perché ogni ritorno non è che un altro, inevitabile naufragio.

(di Bruno Trigo )

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