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recensione piccolo
grande eroe
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Piccolo amante del
baseball che nell’America
della Grande Depressione,
Yankee Irving attraversa
il paese da New York
a Chicago per riportare
a Babe Ruth, campione
dei New York Yankess,
Darlin’, la
sua mitica mazza portafortuna
per consentirgli di
vincere il campionato
mondiale delle World
Series, aiutato da
Screwie, una balla
da baseball parlante
e un po’ saccente.
Chiamato a dirigere
il film, l’indimenticato
Christopher Reeve
è riuscito
a preparare solo qualche
storyboard ma ha lasciato
un segno indelebile
in "Piccolo grande
eroe", delizioso
piccolo film d’animazione
sul potere dei sogni
e sul valore della
perseveranza, diretto
da Daniel St. Pierre
e Colin Brady, veterani
dell’animazione
Disney e Pixar. Uno
dei difetti del cinema
d’animazione
di questi ultimi anni
è la mancanza
di storie interessanti
e ben raccontate,
ma |
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"Piccolo
grande
eroe"
gode
di un’ottima
sceneggiatura
che,
pur
raccontando
in fondo
una
vicenda
a suo
modo
classica,
riesce
ad evitare
di cadere
nel
cliché
e riesce
ad essere
appassionante
e coinvolgente
anche
per
un pubblico
come
il nostro
scarso
conoscitore
del
baseball
e delle
sue
regole.
La ricostruzione
storica
del
periodo
è
ottima
e molto
curata
(deliziosi
gli
inserti
di cinegiornale
che
narrano
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le vittorie
straordinarie
di Babe Ruth)
e non mancano
riferimenti
alla realtà
sociale, come
ad esempio
i tre hobos
(vagabondi
che durante
la Grande
Depressione
viaggiano
in treno attraverso
il paese)
o come la
squadra di
baseball composta
da giocatori
di colore
e relegata
in un campionato
separato da
quello dei
bianchi. La
caratterizzazione
dei personaggi
è ottima
e nell’edizione
originale
i doppiatori
spaziano da
Whoopi Goldberg
(Darlin’)
a William
H. Macy (Lefty)
a Rob Reiner
(Screwie)
e altri. Piccolo
grande eroe
è un
piccolo film
che però
non ha niente
da invidiare
ai grandi
colossi dell’animazione
e riesce a
raccontare
una storia
commovente
e delicata
senza mai
scadere nella
banalità
ma coinvolgendo
sempre il
suo pubblico
con una storia
di coraggio
e buoni sentimenti.
Lo stile dell’animazione
non è
particolarmente
innovativo
ma il suo
essere quasi
‘classicheggiante’
(le influenze
di Toy Story
sono evidenti)
non è
certo un difetto,
anzi. La cura
dei dettagli
è evidente
anche se le
movenze dei
personaggi
umani risultano
alle volte
poco fluide
mentre ottimo
è il
lavoro sui
fondali che
ricreano le
vari ambientazioni
del film,
dalla periferia
newyorchese
ai campi del
Midwest, tra
tramonti infuocati
e cieli infiniti.
(di Chiara
Cecchini
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grande eroe"! |
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