PER NON DIMENTICARTI
 

per non dimenticarti recensione

 
La famiglia Avati al lavoro: Maria Antonia dietro la macchina da presa e Tommaso alla sceneggiatura. I figli di Pupi hanno assimilato la lezione del padre, cantastorie per antonomasia, e cercano di restituire il proprio personale sguardo sulle cose. Siamo a Roma, la guerra è appena finita e sulle ceneri delle sofferenze ancora da spurgare, s’intrecciano le vicende di alcune donne. Ricoverate nel reparto di ostetricia, sono tutte puerpere, avranno modo di conoscersi, diventare amiche/nemiche, complici e sorelle. La trama si sbroglia leggiadra presentando una galleria di personaggi che rimangono accennati, nonostante le buone interpretazioni delle attrici, tutte tese a dare il meglio. La narratrice principale è Anita Caprioli, che veste i panni della moglie modello ma allo stesso è la più affamata di curiosità e  
 
vita, c’è la donna sospettata di facili costumi con la sua toccante vicenda, una nostrana Emma Bovary bella come una diva da copertina e che si divide tra desiderio e normalità, la “sfornafigli” maritata a un incapace, la prostituta che si deve liberare del peso, la popolana materna e affidabile e la fragile vittima di gravidanze isteriche. Figure stereotipate e tratteggiate con benevolente evanescenza, tanto che i loro  
contorni svaporano nella memoria senza lasciare solchi. Colpiscono ai nostri occhi le sfumacchiate impavide delle gestanti, le piccole furbizie per sopravvivere a mariti ottusi o invadenti, le facce degli attori che si vorrebbero popolari ma che risultano da soap (molti volti sono legati a sceneggiati televisi e affini, non necessariamente un male ma il risultato è quantomai bizzarro) e la cura certosina delle ambientazioni come nella miglior tradizione ligia al realismo. E’ altresì lecito aspettarsi, da una pellicola che rimembra toni e sensibilità di certo cinema neorealista, che da un momento all’altro si affacci dallo schermo Anna Magnani. Qui saccheggiata in espressioni, evocazioni e ispirazione, come se tutte queste donne fossero le tessere che compongono il medesimo volto. Impalpabile operazione nostalgica.

(di Daniela Losini )

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