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"Kazakistan,
1961: alla vigilia
del primo lancio dell'uomo
nello spazio, l'ufficiale
medico Daniil Pokrovsky,
insieme alla moglie,
deve preparare giovani
aspiranti cosmonauti
all'impresa (...).
Ma l'atroce morte
di uno dei ragazzi,
incenerito in una
camera iperbarica,
scatena conflitti
e interrogativi nel
protagonista, incapace
ormai di accettare
che tanti giovani
mettano a repentaglio
la propria vita per
la grande madre Russia.
Tutto ciò aggrava
sia le sue condizioni
di salute che il rapporto
con la moglie, che
vorrebbe convincerlo
a lasciare il lavoro".
Stalin è morto
nel 1953, ma il film
denuncia impetuosamente
- con una critica
al regime sovietico
- una nazione di speranze
illuse e di "soldati
di carta" (come
suggerisce il titolo)
mandati a morire per
il prestigio e la
grandezza dell'Urss.
Il non-luogo, punto
di non-ritorno, dove
viene ambientata la
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vicenda
è
ora
straziante
ora
opprimente
ora
incomunicabile,
e in
fondo
a tratti
comunica
proprio
(metaforicamente)
la faticosa
ascesa
verso
una
democrazia,
una
libertà
ben
lontana.
Il tema
è
interessante,
ma lo
sviluppo
del
film
lascia
perplessi:
a che
scopo
lasciarsi
adescare
nella
metafisica,
nella
ricerca
stilistica
a tutti
i costi,
nella
simbologia
castrante
o persino
nel
surrealismo
(cfr.
la bicicletta
scassata
che
"corre"
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da sola, senza
un guidatore)?
Questo bisogno
di infrangere
lo schema
tra il cinema
sovietico
di oggi (anche
quello del
padre di German
per esempio)
e i difetti
di quello
del passato,
fino al parossismo
della modernità,
sembra un
azzardo snobistico.
Beninteso,
il film ha
un suo fascino,
soprattutto
nella moderazione
dolorosa di
un'area deserta
dove si decide
il futuro
degli uomini,
ma davanti
a un eccesso
metafisico
momenti più
o meno drammatici
non sortiscono
appieno l'effetto
sperato. E
così,
tra baracche
e ritratti
di Stalin,
carri armati
e cani randagi,
evocare l'illusione
di uno spaventoso
regime totalitario
(e delle speranze
nel "domani")
significa
ascoltare
una serie
di dialoghi
surreali e
situazioni
quasi "censorie"
rispetto al
significato
concreto del
soggetto sulla
realtà.
Un'illusione
di carta,
troppo festivaliera
e snobistica
anche per
gli ammiratori
di Tarkovskji,
ma che - privata
delle sue
pretese artistiche
- avrebbe
potuto tradursi
in un capolavoro.
Peccato.
(di Luca
D'Antiga
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film "paper
soldier"! |
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