PADIGLIONE 22
 
locandina padiglione 22

recensione padiglione 22

 
Era il 1978 quando la legge Basaglia sanciva la definitiva chiusura degli manicomi. Luoghi di vera e propria segregazione più che ospedali, dove chi veniva rinchiuso invece di trovare un aiuto finiva per sprofondare inesorabilmente nel proprio male. Così anche per Santa Maria della Pietà a Roma, dove Valerio (un giustamente spaventoso Giuseppe Antignati) era stato rinchiuso da bambino, nel padiglione 22 (il peggiore, quello riservato ai malati più gravi), perché schizofrenico. Questo l'antefatto alla base di "Padiglione 22", opera prima dell'esordiente Livio Bordone del 2006 ma che vede la luce solo a due anni di distanza. Nella Roma di oggi si consuma la nostra storia, quando la vita di Laura (Regina Orioli, "Ovosodo", "La guerra degli Antò") viene sconvolta dalla morte del fratello Valerio, scappato dalla clinica  
 
privata per chiudere per l'ultima volta i suoi occhi nel luogo di prigionia della sua infanzia. I sensi di colpa per l'indifferenza e l'odio covati negli anni per lui travolgono la donna, che comincia a precipitare in un vortice in cui è difficile distinguere la realtà dalla fantasia. La trama, in sé per sé, non sarebbe nemmeno male, certamente un valido punto di partenza per costruire un buon film di genere. Eppure,   recensione padiglione 22
il risultato è scarso. Abbiamo avuto prova di come sia possibile realizzare un prodotto convincente pur avendo a disposizione un budget ridotto, ma non è questo il caso. A partire dalle prove attoriali, dove troviamo Antignati ben calato nella parte, mentre la Orioli si dimostra nettamente al di sotto delle sue capacità più che comprovate; e tralasciando senza troppi rimpianti Arturo Paglia (anche produttore del film), nei panni del fidanzato della protagonista. L'impressione complessiva, è che si sia voluta mettere troppa carne al fuoco pur non avendo le capacità sufficienti: la malattia mentale, il trauma infantile, il passato che ritorna, una - seppure velata - denuncia sociale. E più in generale, l'aver cercato un certo 'sperimentalismo tecnico' - dialoghi praticamente assenti, effetti speciali di scarsissimo livello - serve a poco quando poi si inciampa nel solito e nel già visto. Sorge un sospetto legittimo: che la comparsa sullo schermo di una manciata di minuti di Elio Germano, ora nel suo momento d'oro, sia stato il motivo principale di uscita nelle sale del film.


(di Giulia Mazza)


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