OXFORD MURDERS
 

recensione oxford murders

 
Delitti e misteri stanno sconvolgendo Oxford mentre a Oxford si disquisisce di logica e filosofia. Si può raggiungere la verità? Cosa è reale e cosa non lo è? Quello che vediamo esiste o è solo un’invenzione? Il geniale professore tiene una conferenza nell’aula magna dell’università, tutti seguono rapiti col fiato in gola e lui di che parla? Ancora del phi, della sequenza di Fibonacci e del teorema di indicibilità di Godel! Roba che ormai, sdoganata e sputtanata da Dan Brown, si trova sul sussidiario delle scuole elementari. Oxford murders è così, ammantato di un finto alone aulico che si rivela non essere altro che erudizione saccente e pretenziosa, didascalica e citazionista. Ogni occasione è buona per infilarci dentro un rimando, una teoria, una simbologia da decriptare, perché a Oxford sono tutti intelligenti e hanno letto tutti un sacco  
 
di libri. Da Parmenide ai pitagorici, da Wittgenstein a Cluedo (eh già, perché abbassare l’alto è sempre molto a la page) da Alan Turing al trito paradosso per cui se io sono inglese e affermo che tutti gli inglesi sono bugiardi allora è impossibile dimostrare se sto dicendo il vero o il falso. Il geniale professore pronuncia tali battute con un autocompiacimento che non osa nemmeno  
Fabio Volo quando cita Oscar Wilde, tanto ingenuo che farebbe compassione se non spacciasse quanto dice per illuminazioni divine. Allo stesso modo si dipana, se così si può dire, l’intreccio di Oxford Murders, tanto intricato all’apparenza quanto gratuito e casuale nella sua risoluzione. Di tanta carne al fuoco, tra cui non ci viene risparmiato nemmeno la visione di un povero diavolo nudo con gli arti amputati che si autolobotomizzò da solo con una sparachiodi, non rimane che fumo, spiattellatoci nel finale tra un paio di inutili colpi di scena che vorrebbero essere decisivi e invece provocano solo indifferenza, a riprova che se la soluzione dell’enigma deve esserci spiegata a parole come in una puntata del tenete Colombo allora qualcosa in fase di lavorazione non ha funzionato. A De la Iglesias consigliano di tornare alle sue vecchie grottesche commedie nere, perché già emulare il Codice da Vinci non fa onore, se poi a confronto il Codice da Vinci sembra un capolavoro, allora la cosa è ancora più imbarazzante.


(recensione di Mirko Nottoli )


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