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Fare un film sull’intifada
è difficile,
su questo non c’è
dubbio. Il conflitto
tra Israeliani e Arabi
Palestinesi che dura
da 60 anni segna ancor
oggi una spaccatura
netta tra schieramenti
contrapposti di intellettuali
e di combattenti,
che ostentano alternativamente
verità parziali,
rabbia e voglia di
pace. Non è
facile scegliere un
punto di vista, o
meglio, trovarne uno
nuovo, che possa dire
qualcosa in più
su un tema sul quale
ogni forma d’arte
e d’informazione
si è concentrata
più e più
volte. Uno di questi
tanti tentativi di
affrontare l’argomento
è stato il
romanzo storico “Gerusalemme!
Gerusalemme!”
del giornalista francese
Dominique Lapierre,
famoso soprattutto
per “La città
della gioia”.
Quando “Gerusalemme!
Gerusalemme!”
uscì, nel 1971,
fu un vero evento
editoriale, letto
da più di 50
milioni di lettori
in |
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tutto
il mondo
e accolto
come
primo
racconto
veramente
equidistante
sul
conflitto.
Date
queste
premesse
sarebbe
dovuto
essere
facile
trovare
un regista
pronto
a tradurre
l’opera
letteraria
in un
film.
Eppure
così
non
è
stato.
Neppure
Costa-Gavras
se l’è
sentita
di lanciarsi
in un’avventura
così
rischiosa.
Finché
non
è
arrivato
il parigino
Elie
Chouraqui,
regista
indipendente
e impegnato,
attivo
nel
cinema
fin
dal
1978,
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cui in Italia
si sono visti
titoli come
“Un
uomo sotto
tiro”
e “Amore
e Musica”.
Così
ecco qui “O’
Jerusalem”,
distribuito
nelle sale
italiane dopo
due anni dalla
sua finalizzazione.
La storia
è imperniata
sul rapporto
di amicizia
fraterna fra
un arabo di
Gerusalemme
e un ebreo
che vivono
nella Grande
Mela e che,
all’indomani
della decisione
dell’ONU
di dividere
la Palestina
in due stati,
decidono di
partire per
la Terra Santa.
Una volta
arrivati a
destinazione
le avverse
sorti dei
loro popoli
confliggeranno
con l’affetto
e la lealtà
che li uniscono,
fino a scatenare
conflitti
interiori
in grado di
mettere in
luce le contraddizioni
di una guerra
dell’uomo
contro l’uomo.
Ovviamente
nella vicenda
entreranno
in gioco anche
le relazioni
familiari,
l’amore,
l’eroismo
e la paura,
fino ad approdare,
dopo dolorose
perdite di
vite umane,
ad un finale
di speranza.
Dunque, coerentemente
con la tradizione
del film storico,
sono le vicende
personali
a portare
lo spettatore
dentro il
Macrocosmo
storico, in
modo tale
che siano
le emozioni
del singolo
il punto di
partenza dal
quale indagare
gli eventi
del passato.
Eppure in
“O’
Jerusalem”
il meccanismo
s’inceppa.
Prima di tutto
perché
la storia
di due amici
contrapposti
sotto le armi
è vecchia
come il mondo;
e questo dà
una sensazione
di dejà
vu di cui
non ci si
libera mai.
In secondo
luogo per
la realizzazione
tecnica del
film, spesso
enfatica,
troppo esplicativa,
talmente politicamente
corretta da
sfociare nella
banalità.
Inoltre non
si può
non menzionare
la fotografia,
scontata già
di suo, ma
che, in più,
cambia ad
ogni sequenza,
dando un senso
di frammentarietà
figurativa
di cui non
si vede il
motivo, tra
l’altro
aggravata
dalla confusione
delle scene
belliche.
Poi c’è
il capitolo
doppiaggio,
forse il lato
meno riuscito
del film e
che culmina
nella scelta
di conferire
ad alcuni
arabi un accento
straniero:
ma perché
mai? Anche
le soluzioni
registiche
fortunate,
come l’intersezione
graduale e
sovrapposta
tra filmati
storici e
scene girate
per il film,
dopo un po’
stancano perché
iper-sfruttate.
A favore di
“O’
Jerusalem”
c’è,
però,
sicuramente
una fluidità
narrativa
che rende
il film facile
da vedere
nonostante
il tema trattato,
e un Ian Holm
(qui capo
dei combattenti
israeliani,
in versione
spettinata)
sempre bravo.
C’è
da chiedersi
comunque chi
potrebbe andare
a vedere un
film che tratta
un argomento
impegnato
con il linguaggio
popolare di
un filmone
americano.
Forse è
proprio il
presupposto
di base a
vacillare.
(recensione
di Marco
Santello
)
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Jerusalem"! |
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