retto parlare
di remake
del remake
del remake.
Si cambia
giusto qualche
riferimento
e s’inserisce
qualche informazione
sulle origini:
come Leatherface
nacque, crebbe
e si prese
la faccia
del belloccio
o come lo
zio divenne
storpio (macabra
e cinica scena
al contempo
“Zio,
farà
un po’
male. E’
chirurgia!”).
A scatenare
l’inferno
è una
mucca in mezzo
alla strada
che genera
l’incidente
(forziamo
la mano: servito
il tot di
etica ecologista)
ed eccoli
poi gli umani
belli appesi
come quarti
di bue dopo
cinque minuti.
C’è
anche lo spazio
per un poco
di moralina
patriottica
e un j’accuse
alla guerra:
sennò
dov’è
che uno s’inizia
alla carne
dei suoi simili
se non in
estreme condizioni?
Un unico mistero:
vorremmo sapere
dov’è
finita la
donna iperpaffuta
che compare
a mangiar
biscottini
verso i tre
quarti della
pellicola.
Meglio, dove
finisce lo
immaginiano.
Ma nella sceneggiatura?
E se la sega
elettrica
non perdona,
perché
dovremmo farlo
noi?
(recensione
di Daniela
Losini )