NON APRITE QUELLA PORTA: L'INIZIO
 

- recensione -

 
Tobe Hopper e Michael Bay producono: un artigiano horror e un mestierante patinato. Al timone della regia c’è Jonathan Liebesman che si affaccia nel mondo dorato degli splatter teen movies, con qualche buona e forse lecita speranza. Si apre con le martellate e si chiude con la sega elettrica. L’umana carne da macello viaggia (giusto qualche fotogramma prima di rotolare in bocca al mattatoio) per svagarsi. La parte maschia dovrebbe partire per il fronte (qualche cenno al Vietnam e agli hippies giusto per fornire la collocazione temporale) e la parte femminea al seguito si separa ben presto in bionda che finisce ripassata e a pezzettini e mora che ne busca parecchie ma forse ce la può fare. Forse. Non foss’altro che lo sciagurato clan familiare degli Hewitt è capitanato dal finto Sceriffo Hoyt (quello vero è  
 
stato servito per cena) nella cui divisa kaki e nel ghigno crudele c’è niente meno che lui: il Sergente Hartman di “Full Metal Jacket”, al secolo R. Lee Ermey. “The Texas Chain Massacre” (Non aprite quella porta) per quei due che non lo sanno, fu una trovata commerciale per far passare il film come cronaca avvenuta e dunque sulla falsariga continua l’epopea. L’aggiunta “l’inizio” al titolo è fuorviante: più cor-  
retto parlare di remake del remake del remake. Si cambia giusto qualche riferimento e s’inserisce qualche informazione sulle origini: come Leatherface nacque, crebbe e si prese la faccia del belloccio o come lo zio divenne storpio (macabra e cinica scena al contempo “Zio, farà un po’ male. E’ chirurgia!”). A scatenare l’inferno è una mucca in mezzo alla strada che genera l’incidente (forziamo la mano: servito il tot di etica ecologista) ed eccoli poi gli umani belli appesi come quarti di bue dopo cinque minuti. C’è anche lo spazio per un poco di moralina patriottica e un j’accuse alla guerra: sennò dov’è che uno s’inizia alla carne dei suoi simili se non in estreme condizioni? Un unico mistero: vorremmo sapere dov’è finita la donna iperpaffuta che compare a mangiar biscottini verso i tre quarti della pellicola. Meglio, dove finisce lo immaginiano. Ma nella sceneggiatura? E se la sega elettrica non perdona, perché dovremmo farlo noi?


(recensione di Daniela Losini )

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