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recensione nessuna verità
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Tutto già visto stravisto sentito e risentito. Un film fotocopia di "American gangster", tecnicamente ineccepibile ma irrilevante in un discorso generale di cinema, per cui se ci fosse o non ci fosse "Nessuna verità" non farebbe alcuna differenza. Vanno molto di moda, in epoca di Al Qaeda, i film sulla Cia, il terrorismo e il conflitto mediorientale. Chissà, magari Bin Laden avrà qualche quota di qualche Studios Hollywoodiano. Non ci sarebbe da meravigliarsi considerato che questo genere di film finge di denunciare ma in realtà è pienamente addentro al cosiddetto sistema che fagocita ed ingloba anche ciò all'apparenza "contro" se "contro" significa comunque "fare gioco". Il che cosa denuncia e il che cosa rivela sarebbe da analizzare. Lo si dice fin dal titolo: che non esiste nessuna
verità, che le cose non sono |
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mai come sembrano (sembra di essere alla Talpa), che non ci si può fidare di nessuno. Abbiamo detto praticamente niente. Un mondo cinico popolato da personaggi cinici che però alla fine subiscono sempre perentorie crisi di coscienza cadendo dalle nuvole quando scoprono che c'è chi gioca sporco. Agenti segreti che operano da infiltrati in campo nemico, sgamati e addestrati, che si sorprendo- |
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no quando vengono catturati rischiando di rimetterci la pelle. Grandi pupari demiurghi che operano dietro le quinte decidendo le sorti del mondo mentre si friggono due uova al tegamino nel cucinotto di casa che si fanno infinocchiare da una nuvola di polvere alzata da quattro jeep nel deserto. Non ne sappiamo nulla di spionaggio e controspionaggio ma da un punto di vista prettamente narrativo non si può che rimanere perplessi nel constatare lo scarto che ad un certo punto si verifica tra premesse e risultati. E' come se in punto imprecisato del racconto succede qualcosa per cui i conti smettono di tornare. E' come se si stesse guardando adulti al top della catena evolutiva trasformarsi d'incanto in bambini che si fanno i dispetti. Ridley Scott gira con consumato mestiere ma ancora la mena con i satelliti che ti riprendono dall'alto, roba che il fratello cialtrone la faceva già dieci anni fa (e anche lui ancora insiste, vedi l'orrido "Dejà vu"). L'unico motivo, come per "American Gangster" del resto, è assistere al duetto di attori, Leonardo Di Caprio convincente come al solito anche quando l'intreccio non l'assiste, e il solito Russell Crowe, al quarto film con Scott, per il quale è ingrassato 20 chili e ancora si starà chiedendo il perché. Non lo chieda a noi. La sottile ipocrisia strisciante fa capolino nel finale consolatorio. Il finto Bin Laden viene preso. Quello vero è ancora in circolazione. Dove sarà? Magari ad Hollywood.
(di Mirko Nottoli )
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