NEMICO PUBBLICO N.1 - L'ORA DELLA FUGA
 
locandina NEMICO PUBBLICO N.1 - L'ORA DELLA FUGA

recensione

 
Con l'uscita nelle sale cinematografiche della seconda parte del film "Nemico pubblico n. 1 - L'ora della fuga", si completa il dittico dedicato dal regista parigino quarantatreenne Jean François Richet alla figura del gangster francese Jacques Mesrine. I 110 minuti di questa seconda parte, per la fluidità della sceneggiatura, per l'efficacia fotografica, per il dosaggio emotivo nelle scene di azione e per l'intensa prova attoriale di Vincent Cassel (che appare ingrassato di una ventina di chili per poter interpretare il Mesrine "maturo") raggiungono senz'altro gli ottimi livelli de L'Istinto di morte (nelle sale dal 13 marzo). La pellicola descrive le "gesta" di un Mesrine ormai imbolsito dagli anni, ma sempre alle prese con le solite rapine in banca e spettacolari evasioni da prigioni e aule di tribunale. Ma il comissario Broussard (Olivier Gourmet)  
 
gli sta alle costole e una mattina in una camera d'albergo riesce ad arrestarlo. È il 1977 e per Mesrine, che da adorabile spaccone festeggia l'arresto con una bottiglia di champagne, si aprono le porte del carcere parigino Prison de la Santé, dove, insoddisfatto dell'imperizia degli articoli sui giornali che parlano di lui, si decide a scrivere un libro sulla sua vita. Quel romanzo autobiografico "L'instinct de mort", da cui il   recensione NEMICO PUBBLICO N.1 - L'ORA DELLA FUGA
film è tratto. Ma Mesrine, ancora una volta, riesce ad evadere, con l'aiuto del suo avvocato e di un compagno di reclusione, François Besse (Mathieu Amalric), che diventa successivamente anche il suo compare. Intanto la popolarità di Mesrine cresce sempre più e nel 1978 il latitante può permettersi di vendere una sua intervista al periodico parigino Match. I rapporti con la stampa però si sono fatti più tesi da quando Mesrine ha imparato a tingere le sue malefatte con una vaga nuance politico-rivoluzionaria. Ne fa le spese un giornalista di destra, reo di aver scritto un articolo contro Mesrine. Il malcapitato viene rapito, condotto in una grotta e, alla luce di sole candele, in una scena dove la camera di Richet cattura tutta la diabolica rabbia di Mesrine-Cassel (suggerita anche dall'ambientazione "da messa nera"), viene (quasi) ucciso a calci. Ma, come recita la canzone sul bandito Sante Pollastri, "il proprio destino nessuno gli sfugge", e il giorno in cui la liturgia commemora i defunti - il 2 novembre del 1979 - il mai domo commissario Broussard gli tende un agguato. Mentre Mesrine sta lasciando per sempre Parigi insieme alla sua ultima fiamma, Sylia Jeanjacquot (interpretata da Ludivine Sagnier), un camion pieno di sicari gli scarica addosso diversi caricatori di mitra, lasciando cadere un sipario rosso-sangue sull'epopea di Jacques Mesrine. Difficile trovare difetti in un film dove la noia è bandita e i lampi di genialità interpretativa di Cassel illuminano le poche zone lasciate buie da una trama ben costruita. Tante le maschere a disposizione nella valigia dell'attore di Cassel: ora una risata che cerca la complicità del pubblico, ora una malvagità che fa voltare lo sguardo, ora l'ingenuità del bambino che convive con le azioni di uno spregiuticato malvivente, ora lo sguardo di un padre che sorride e abbassa gli occhi davanti alla bellezza della figlia diventata donna. Certo, metabolizzata la novità della prima, questa seconda parte del film paga lo scotto alla prevedibilità di un sceneggiatura rigida, tutta costruita su un'autobiografia che spesso diviene mero succedersi di episodi, senza la possibilità di inventare un colpo di scena o uno "scioglimento" narrativo. Ma è un prezzo che si paga senza troppo disagio e il bilancio rimane abbondantemente in attivo.

(di Daniele Piccini)


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