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recensione motel woodstock
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A 40 anni esatti di distanza Ang Lee rievoca e celebra il mitico concertone di Woodstock con un film, Motel Woodstock appunto, che rievoca e celebra la tre giorni più famosa della storia del rock e della storia in generale senza mostrare un solo fotogramma del concerto stesso. Perché Woodstock è stato un concerto ma è stato molto di più, un avvenimento epocale divenuto leggendario, momento spartiacque incastonato in uno scenario mondiale senza precedenti. E' il 1969. La guerra in Vietnam, il primo uomo sulla luna, i movimenti pacifisti e quindi Woodstock. Come si diceva, Ang Lee mostra il concerto senza mostrare il concerto ma scegliendo una prospettiva inusuale. Il punto di partenza è il libro autobiografico di Elliot Tiber, Taking Woodstock, in cui si racconta come uno scalcagnato motel fatiscente sperduto |
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nelle campagne dello stato di New York e l'intraprendenza un po' naif del giovane figlio della stramba coppia di gestori resero
possibile lo svolgersi del grande evento. Centro dell'universo, come viene definito, per tutta la pellicola il concerto rimane sullo sfondo, se ne sente qualche nota in lontananza e se ne vede qualche immagine distorta da un trip allucinogeno perchè quello che conta di
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Woodstock è cosa ha significato Woodstock,
prima, dopo e durante la manifestazione. Non mostrarlo produce due effetti uguali e contrari: lo mitizza ulteriormente e al contempo, concentrandosi sulle più piccole storie collaterali, lo rende più umano e più vero. Regista taiwanese, dotato di indubbia eleganza formale e sensibilità nel delineare delicati e sottaciuti rapporti interpersonali, non sappiamo quanto Ang Lee sia stato coinvolto nei cosiddetti moti sessantottini ma sta di fatto che in Motel Woodstock riesce a cogliere lo spirito giusto di un film che commemora ma non incensa grazie ad uno sguardo, quello del protagonista, coinvolto ed estraneo al tempo stesso, magnificamente calibrato tra il grottesco e lo scanzonato, tra la dolcezza e il dolore, tra la favola e il documento sociale. Motel Woodstock è un film che potremmo definire "delizioso" se non fosse che "delizioso" è aggettivo che fa venire l'orticaria, e anche i vari sinonimi non sono da meno. Se non fosse che "delizioso" mal si addice a sesso droga e rock and roll, che ci sono come è normale che sia. Cast ben assortito di facce più o meno famose tra cui non si faticherà a riconoscere Emile Hirsch che dopo "Into the Wild" e "Milk" si è tesserato al ruolo di freakettone e Liev Schreiber ex marine travestito con la pistola nella giarrettiera. Demetri Martin è il protagonista, quell' Elliot Tiber poi divenuto artista e scrittore attivo nella lotta per i diritti omosessuali. L'Imelda Staunton de "Il segreto di Vera Drake" e Henry Goodman interpretano la coppia di stravaganti genitori cui è riservata, seppur a modo loro, la parte più struggente e sentimentale. Ci sono anche Paul Dano già visto nel "Petroliere" e Jeffrey Dean Morgan, il Comico dei "Watchman", qui rappresentante dell'americano medio, provinciale e bigotto, emblema della peggior America conservatrice, ipocrita e moralista ma sempre pronta ad approfittarsene, non appena l'occasione lo consente. Da vedere assolutamente in coppia con "I love Radio Rock".
(di Mirko Nottoli )
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