MIO FRATELLO E' FIGLIO UNICO
 

recensione

 
“Un film che non vuole parlare di politica, ma di persone che fanno politica”. Con queste parole Daniele Luchetti ha presentato la sua ultima fatica “Mio Fratello è Figlio Unico” che racconta l’ambiente giovanile dell’Italia degli anni ’60 e ’70 e di quanta parte avesse l’impegno politico nella vita dei ragazzi di allora. “Quanto si parlava di politica allora” dice sempre Luchetti. Il film, ispirato al libro Il Fasciocomunista di Antonio Pennacchi, parla di Accio (Elio Germano), tumultuoso e introverso che vive la vita senza sfumature, prendendo qualunque sfida come una battaglia. Giovanissimo entra in seminario, ma lo scontro con un ambiente che a lui sembra troppo permissivo lo porta ad abbandonare. Tornato a casa si ritrova di nuovo in famiglia con un padre (Massimo Popolizio) operaio e operoso e una madre (Angela Finocchiaro) che  
 
vive solo per la famiglia e ha un solo desiderio: una casa che non cada a pezzi. Ci sono anche la sorellina Violetta (Alba Rohrwacher), ma soprattutto Manrico (Riccardo Scamarcio) il fratello bello, affascinante e amato da tutti. Accio ha un animo battagliero, non si tira indietro, nemmeno se c’è da menare le mani e sogna di aiutare gli ultimi. Se l’abito talare risulta non essere la giusta via, allora come fare? Tro-  
verà la risposta nell’amico Mario (Luca Zingaretti) che lo ‘inizierà’ alla dottrina fascista. E mentre Accio si iscrive al Movimento Sociale, Manrico diventa il leader della sinistra giovanile di Latina. La contrapposizione tra i due aumenta, arrivando anche alla stessa donna, Francesca (Diane Fleri). Una vita fatta di scontri e di botte, soprattutto in famiglia. Accio e Manrico crescono e lottano su fronti opposti. Si scontrano spesso, sebbene ci sia una certa complicità. Un film onesto e sincero che non descrive, ma racconta con semplicità l’esperienza della prima generazione italiana che ‘subiva’ la gioventù. L’impegno politico era un modo per socializzare, incontrarsi e trovare un proprio posto nel mondo. Spesso si sbagliava, ma a prendere il sopravvento erano il fascino della lotta e la volontà di contare qualcosa.
“Ho cercato di non lavorare troppo sulla ricostruzione storica, – dice il regista – ci interessava molto di più raccontare la storia di quelle persone. Per questo ho lasciato molta libertà agli attori di fare – ride – quello che volevo io”. Ottime infatti le interpretazioni di Elio Germano, Riccardo Scamarcio e Luca Zingaretti, punte di diamante di un cast davvero ‘in parte’. Una scommessa vinta quella di Luchetti che, nonostante alcuni brevi momenti didascalici e qualche piccola superficialità, con la storia di Accio ci racconta anche la storia di quell’Italia.


(recensione di Sara Sagrati )


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