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recensione michael
clayton
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Il cognome Gilroy
potrebbe suonare familiare
ad alcuni. Il regista
di “Micheal
Clayton” Tony
Gilory è, infatti,
figlio di Frank D.
Gilroy (cineasta e
commediografo vincitore
di Premio Pulitzer),
il fratello Dan è
sceneggiatore e l’altro
fratello John è
montatore. Lo stesso
Tony, inoltre, approda
al lungometraggio
dopo aver sceneggiato
grandi film di Hollywood,
quali “The Bourne
identity” e
“The Bourne
supremacy”.
Una vita, quella di
questo esordiente,
spesa a contatto con
il cinema e con la
scrittura. Ciononostante
è proprio la
sceneggiatura il più
evidente punto debole
di “Micheal
Clayton”. Il
film è un lungo
flashback che prende
le mosse dal tentato
omicidio ai danni
del protagonista,
avvocato con problemi
di debiti e gioco
d’azzardo, e
si snoda attraverso
le vicende giudiziarie
che coinvolgono |
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una
grossa
società
di prodotti
chimici
per
l’agricoltura
e lo
studio
legale
che
la rappresenta.
Improvvisamente
l’avvocato
di punta
(Tom
Wilkinson)
subisce
un crollo
di nervi
e rischia
di mandare
l’azienda
a gambe
all’aria.
Infatti,
alcuni
documenti
svelerebbero
che
la multinazionale
commercializza
scientemente
prodotti
cancerogeni,
la cui
segretezza
è
vitale
per
la sopravvivenza
dell’azienda.
Sarà
dunque
Michael
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Clayton (George
Clooney) a
dover prendere
in mano la
causa e a
scegliere
che strada
seguire. A
contrapporsi
a lui la gelida
Karen Crowder
(Tilda Swinton),
chief dell’ufficio
legale interno,
che tenterà
con qualsiasi
mezzo di portare
a termine
la class action.
Il film è
quindi una
sorta di thriller
giudiziario
che ha come
protagonisti
avvocati spregiudicati
trafitti da
dilemmi morali
e costrizioni
esistenziali.
Tutto un po’
troppo già
visto, verrebbe
da dire; e
infatti è
proprio così.
Purtroppo
la storia
non è
abbastanza
originale
per aggiungere
qualcosa di
veramente
innovativo
all’ormai
folta schiera
dei tanti
“Erin
Brockovich”
e “Il
rapporto Pelican”
e, in più,
nella parte
iniziale il
racconto indugia
un po’
troppo sugli
aspetti ambientali,
tanto che
fatica ad
entrare nel
cuore della
vicenda. Si
ha così
la sensazione
di assistere
alla gara
di un maratoneta
che all’inizio
della corsa
si ferma a
guardare i
fiorellini.
Anche i dialoghi
sono poco
verosimili
e un po’
troppo pregni
di significato,
in particolare
quelli del
seriosissimo
figlio di
Clayton. Nonostante
tutti questi
punti di debolezza,
il film non
merita di
essere scartato
del tutto.
Per prima
cosa in virtù
delle prove
attoriali,
impeccabili
in accenti
e sfumature;
soprattutto
quella di
George Clooney,
che ci regala
un lunghissimo
primo piano
finale, tra
i più
espressivi
e lievi degli
ultimi tempi.
In secondo
luogo per
le scelte
registiche,
alcune molto
efficaci,
come la suggestiva
sequenza con
i cavalli
o quella atroce
e chirurgica
dell’assassinio
del personaggio
di Wilkinson.
A conti fatti,
quindi, è
il versante
esistenziale,
piuttosto
che quello
del thriller,
a convincere
di più.
“Micheal
Clayton”
è dunque
un esempio
di scavalcamento
dei confini
di genere
e di ampliamento
delle potenzialità
di un filone.
Emerge alla
fine un film
squilibrato
ma denso di
momenti emotivamente
efficaci,
che lo l’hanno
reso comunque
degno di essere
inserito tra
i film in
concorso a
Venezia 64.
(recensione
di Marco
Santello
)
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recensione del
film "michael
clayton"! |
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