piuttosto consuete ed elementari (si pensi allo stesso "Silent Hill", ma anche ai capolavori "Doom", "Quake", "Mafia") proprio perché gli elementi di forza risiedono altrove (giocabilità, interattività, coinvolgimento "emotivo"). Il cinema asciuga tutti questi aspetti, lasciando solo l'involucro generale, la tramina, l'estetica. "Max Payne" ricalca con fedeltà le atmosfere del videogioco (una New York fredda, ghiacciata,

buia, scrostata) ma non riesce mai a coinvolgere. Ogni elemento della messa in scena risulta prevedibile fino all'irritante: i flashback quasi in finto traballante super8, i colpi di scena abbandonati con casualità, i "cattivi" quanto mai schematici e macchiettistici. Né certo conferisce spessore la denuncia della corruzione delle case farmaceutiche, o delle brutture della guerra in Medio Oriente. Solo pretesti, solo diversivi. Un solo elemento è reso con efficacia: le allucinazioni dovute alla strana droga blu. Per la prima (e unica) volta il senso di angoscia e minaccia dello spettatore coincide con quello del videogiocatore. Angeli neri come pece scivolano lungo le mura della città o le nubi troppo basse. Aspettando con ansia l'Apocalisse.