MARE NERO
 

mare nero recensione

 
Certe brutte notizie le annunciano i titoli. Il mare nero nel quale vorrebbe farci nuotare/angosciare Roberta Torre (“Tano da morire”, “Sud Side Story”) a esser magnanimi, è scialba acquetta torbida. Se lo spunto sulla carta nasce appetibile (obbligatoria avvertenza: il binomio eros/tanathos parte sempre allettante nelle promesse quanto foriero di noia e stati di allucinatoria estraneità nel risultato finale), il cosiddetto svolgimento annega nelle italiche limitazioni e pregiudiziali del caso. Un ispettore di polizia (Luigi Lo Cascio, che si liberi presto di questo marchio a fuoco negativo) si mette sulle tracce dell’assassino di una studentessa belloccia e disinibita, morta in circostanze dolose e forse in seguito a una pratica erotica off limits. L’uomo sta sperimentando la convivenza con l’avvenente compagna francese (Anna  
 
Mouglalis: pur avendo il perfetto corredo della dark lady qui è sprecata, sprecata assai) e ben presto desideri oppressi, corridoi mentali inesplorati (vile metafora che abbonda in ogni sequenza: quale sfavillante novità descrittiva) si sovrappongono, irrorando di nuova inquietudine la realtà quotidiana. Citiamo l’orgiastico Kubrick e certe atmosfere realmente permeate di quel catalizzatore di guai che è il subcosciente (se è  
definito latente/dormiente un motivo ci sarà) quando viene a galla (fulgidi esempi? “Cruising” di Friedkin o “Whore” di Ken Russel) per delineare il limite accettabile di una rappresentazione coinvolgente/disturbante il cui approdo inevitabile è quel sentiero mai battuto sino alla fine e che porta proprio là, dove conoscerai - forse - te stesso. Nella pozzanghera sgangherata di Mare Nero non affiora un sassolino di perversione o interesse nemmeno a spremere lacrime masochistiche. Si dilapidano sguardi inutili che spiano imbolsiti buchi della serratura e si cincischia tirando buffetti alla propria morale cattolica al punto che, abbandonando la sala, niente ci pare più trasgressivo di una collegiale giapponese con la divisa della scuola. Che cali l’oblio. E presto.

(di Daniela Losini )

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