MAN ON WIRE
 
locandina man on wire

recensione man on wire

 
Il docu-film di James Marsh sulla vita e sulle gesta di Philippe Petit, il funambolo francese che nell'estate del 1974 camminò su un cavo teso tra le Twin Tower di New York, diventa un dvd. Il film che ha conquistato l'Oscar 2009 per il miglior documentario, monta non solo filmati originali, fotografie ed interviste al protagonista e a tutti i suoi collaboratori-amici che fecero l'impresa. Marsh, regista londinese già cimentatosi con la vita di Elvis Presley e John Cale dei Velvet Underground, ha ricostruito ex-novo, con veri attori, alcune scene (in bianco e nero) dell'epica avventura di Petit. Il risultato è un crescendo narrativo molto più vicino ad un thriller, che ad un documentario. Dopo qualche fotogramma dedicato alla passeggiata di Petit su un cavo teso tra i campanili della cattedrale parigina di Notre Dame (1971), ed un'altra tra le cime  
 
dell'Opera House e dell'Harbour Bridge di Sidney (1973), il film passa alla sua impresa più leggendaria: oltre un'ora passata a camminare su un filo, tra le due Torri gemelle a 400 metri di altezza dal suolo. Attraverso le interviste a Petit e agli amici che lo aiutarono (Jean-Louis Blondeau, la fidanzata Annie Allix, il fotografo Jim Moore e Mark Lewis), il regista ricostruisce la preparazione dell'impresa. Superare la sorve-   recensione man on wire
glianza del World Trade Center e trasportare sul grattacielo più alto del mondo, oltre una tonnellata di materiale, richiede una preparazione di mesi, una talpa all'interno dell'edificio, coraggio, molti travestimenti, creatività per aggirare le ronde dei poliziotti, qualche documento falso e ovviamente la proverbiale buona dose di follia. In un attimo ci si sente come quei fortunati spettatori newyorkesi, a naso all'insù, tornati bambini quella mattina del 7 agosto 1974. E poi, bastano poche sequenze, per capire che il regista servendosi delle evoluzioni di Petit sul cavo non ci sta solo portando a 400 metri da terra, per vedere un numero da circo. Man on wire (il film prende il titolo dal capo d'imputazione formulato dalla polizia di New York ai danni di Philippe Petit dopo averlo arrestato per la sua "marachella") diventa infatti subito un viaggio al centro del pianeta "uomo". In quel misto di gioco e follia gratuita, ingredienti dell'arte più grande e della creazione più intensa. Niente attira più della serietà delle cose inutili, fatte così, tanto per farle. «Il fatto che essere funambolo metta a rischio la vita è fantastico: perché così lo devi fare sul serio», amava ripetere il funambolo francese. Il regista accompagna lo spettatore alla scoperta della verità: che il gioco giocato seriamente e la creatività spontanea e generosa avvicinano la condizione umana a quella divina. Dopo la passeggita nel cielo di New York i giornalisti chiesero a Petit: «Perché lo hai fatto?». E lui rispose: «Non c'è alcun perché». Il Creatore dell'Universo, alla stessa domanda, non avrebbe dato la stessa risposta?

(di Daniele Piccini )


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