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"Un contestato
Leone d'Oro a Venezia
non può prescindere
dalla prevedibilità
della scelta rispetto
al radicale, anticonformista
e sorprendente verdetto
dell'anno precedente
(cfr. il bellissimo
Still Life di Zhangkè,
premiato dopo un'unica
proiezione "a
sorpresa" per
gli spettatori). Ma
sarebbe ingiusto scagliare
anatemi contro Ang
Lee, colpevole semmai
di aver espiato il
confronto con la propria
Storia attraverso
i parametri di un
certo cinema occidentale,
o meglio di quel confronto
individualista e parziale
attraverso cui un
certo cinema americano
degli anni Cinquanta
rispecchiava l'immaginario
collettivo di altri
popoli. Film come
"Il mondo di
Suzie Wong" o
"Sayonara"
servono ancora perfettamente
allo scopo. Ma è
soprattutto il dramma
della Resistenza Cinese,
pur se evocato nelle
spire |
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romanzesche
di un
romanzo
di cento
pagine,
a destare
qualche
perplessità:
può
una
Realtà
storica
e culturale
tanto
scomoda
e imponente
vivere
dei
riflessi
di un'esperienza
cinematografica
"aperta"?
E fino
a che
punto,
al contrario,
è
giusto
quantificare
l'integralismo
di un
Cinema
"altro"
alla
luce
degli
eventi
personali,
fideistici
e quant'altro
che
si descrivono?
Una
questione
irrisolta:
potremmo
mai
accettare
un |
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film sulla
Resistenza
Italiana realizzato
con uno spirito
smaccatamente
anglosassone?
Probabilmente
no, ma non
è detto
che non possa
accadere...
"Lust,
caution",
ambientato
nella Shangai
del 1942,
narra le vicende
di una studentessa,
Wang Jazhi
(l'attrice
esordiente
Tang Wei)
che nella
Cina occupata
dai Giapponesi
si allea a
un gruppo
di giovani
della Resistenza,
partecipando
attivamente
alla fondazione
di una Compagna
Teatrale con
lo scopo di
sollecitare,
attraverso
una serie
di spettacoli
di propaganda,
una ribellione
nel popolo
Cinese nei
confronti
dell'Occupazione.
Wang viene
ingaggiata
inoltre per
tendere una
trappola al
temuto Mr.
Yee, un losco
e affascinante
collaborazionista
dei Servizi
Segreti, ricco
e sposato
con una donna
bellissima.
Ella dovrà
pertanto cambiare
nome e identità,
e frequentare
un mondo borghese
diverso dal
suo, allo
scopo di conoscere
direttamente
Mr. Yee e
informare
i suoi "compagni"
di ogni sua
mossa. Ma
le cose si
complicano
quando tra
i due nasce
un torbido
e frustante
sentimento,
che culmina
quando Mr.
Yee dichiara
il suo amore
alla giovane
donna e le
regala un
preziosissimo
anello di
diamanti.
A questo punto
Wang Jazhi
è divisa
tra la forte
attrazione
che prova
per l'uomo
e la sua scelta
ideologica,
convinta però
ad andare
fino in fondo
fino al dramma
finale".
Per celebrare
il ritorno
in patria
dopo anni
di assenza,
Ang Lee si
è ritrovato
con alcuni
collaboratori
già
noti: Bill
Kong, produttore
del vuxupian
"La Tigre
e il dragone",
Hui-Ling Wang,
co-sceneggiatore
di "Ragione
e sentimento"
e, dulcis
in fondo,
proprio lo
stesso James
Schamus, già
produttore
e sceneggiatore
di "Brokeback
Mountain",
Leone D'Oro
a Venezia
di due anni
fa. A prima
vista "Lust,
caution"
non merita
certo il giudizio
severo attribuito
dalla critica
all'indomani
del verdetto
veneziano,
e per tante
ragioni: prima
di tutto i
dialoghi,
sorprendenti
ed efficaci,
soprattutto
quelli che
fanno perno
a Mr. Yee
e alla sua
sfaccettata
personalità
("Quello
che piace
a mia moglie
non piace
a me"),
ma anche per
l'efficace
ricostruzione
storica della
Cina occupata
dai Giapponesi,
che vanta,
soprattutto
nella prima
parte, alcuni
ottimi momenti,
come la descrizione
impetuosa
di quel mondo
borghese dove
le dame si
trovano a
giocare a
Mahjongg mentre
il mondo è
in guerra
e diviso da
conflitti,
inganni, distruzione.
La capacità
indubbia di
Lee, nel suo
film forse
tecnicamente
più
maturo, è
di aver creato
un climax
claustofobico
e monolitico
dove gli stessi
spazi aperti
hanno il respiro
di una metaforica
prigione:
l'angusta
carenza della
Libertà.
Ma è
altrettanto
certo che
l'aderenza
al Romanzo
da cui è
tratto lo
script e il
bisogno impellente
di gonfiarlo
come un lussuoso
prodotto d'esportazione
rischia di
rendere il
tutto piuttosto
sterile freddo,
nonostante
l'emozione
sia paradossalmente
più
tangibile
e pregnante
di tante altre
opere del
regista. La
scelta stilistica
di Ang Lee
sembra inequivocabilmente
spostare l'attenzione
sull'Amour
Fou dei due
protagonisti,
dall'altra
sembrerebbe
aderire a
un'idea di
cinema Classico
che mischia
abilmente
i suoi ingredienti
fino a raccogliere
espedienti
voyeuristici
del prodotto
export contemporaneo
(si veda il
discusso e
bollente eros
di alcune
sequenze).
Il film pertanto
sembra un
melange tra
Notorius (per
l'intreccio
spionistico
della vicenda)
e il recente
Black Book
di Verhoeven,
alienato però
dalla vena
politically
uncorrect
del regista
belga (non
a caso, dicono
i maligni,
giurato al
festival di
Venezia).
Ma se si eccettuano
un paio di
sequenze non
perfettamente
focalizzate
(come la Recita
della Compagnia
Teatrale che
vorrebbe essere
epica ed è
solo pretestuosa
e retorica)
e non ci si
rende complici
del glamour
ipertrofico
di Leung e
dell'atmosfera
del film (compresa
la colonna
sonora che
cita il melodramma
cfr. Casta
Diva come
usava fare
De Palma nel
suo "The
Untouchables")
l'analisi
dei sentimenti
sofferti è
davvero ammirevole:
l'amore tra
i due protagonisti
non è
mai languido
e stucchevole,
bensì
tormentato
quasi come
un Rito Sadiano,
emblemizzato
sia dall'erotismo
nichilista
e sopra le
righe che
sancisce la
loro "perversa"
intimità
sia dai tanti
momenti in
cui Wang Jazhi
o Mr. Yee
percepiscono
- da due diversi
stati di coscienza
- che l'inganno,
la menzogna
e il sospetto
sono dietro
l'angolo.
Non credo
siano molti
i registi
occidentali
capaci di
affrontare
il tema della
Coscienza
attraverso
la capacità
di filtrare
lo sguardo
della Ragione
o della Paura:
emblematica
la sequenza,
improbabile
ma bellissima,
in cui lei
si reca nel
posto prefisso
temendo di
essere stata
"scoperta"
e invece si
trova davanti
alla possibilità
di scegliere
un prezioso
anello. Davanti
alla drammatica
dimensione
della storia,
quale realtà
è più
scomoda? L'identificazione
dell'inganno
oppure la
consapevolezza
individuale
di continuare
a perpetrarlo?
Molto è
stato detto
sulla lunghezza
eccessiva
del film,
che trova
in Tony Leung
un interprete
ancora una
volta straordinario,
sorprendente
per quanto
possa sembrare
old fashioned
rinverdire
i fasti di
Bogart e dei
volti dimenticati
dal tempo
come quello
di John Garfield:
ma nel doppiogiochismo
e nell'ambiguità
di questa
spy-story
Lee dà
davvero il
suo meglio,
a cominciare
dalla trappola
nei confronti
di un collaborazionista
trafitto dai
coltelli in
una sequenza
che sembra
uscire da
un film del
nostro Bertolucci
(facile indovinare
quale). In
definitiva,
un'ottimo
film che piacerà
agli spettatori
del cinema
Classico ma
non smuoverà
più
di tanto i
neofiti, insediati
(è
il caso di
dirlo) nel
tradizionalismo
corrente e
un pò
integralista
del Cinema
d'Essai di
denominazione
geografica:
se non troviamo
qui quello
che sarebbe
lecito aspettarsi
da un film
cinese ("Sulla
Cina"
sentenziano
i più
intransigenti)
è anche
vero che non
possiamo biasimare
Lee per aver
imparato a
dovere la
lezione del
Melò
Occidentale:
tanto di cappello,
dunque, ai
cinesi se
si commuovono
per Hitchcock
o Curtiz e
non provano
ad essere
un Mondo a
sè"
(recensione
di Luca
D'Antiga
)
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