LEBANON
 
locandina Lebanon

recensione Lebanon

 
A poco meno di un anno dall'uscita in sala di "Balzer con Bashir", il cinema israeliano torna ad affrontare la ferita ancora apertissima della prima guerra del Libano. Ancora una volta siamo nel 1982, e come nel documentario di animazione di Folman è ricostruito in prima persona il passato bellico del regista. Doveroso partire da questa premessa, considerando il successo di critica internazionale raggiunto da entrambe le pellicole (Lebanon ha vinto il Leone d'Oro a Venezia poche settimane fa) e la loro assoluta crudezza; tutto ciò fa riflettere, rimarca laddove ve ne fosse bisogno che l'esperienza individuale e viva di un autore, soprattutto quando sofferta e catartica, riesce a coinvolgere e a toccare le corde universali della sensibilità umana in maniera più diretta e penetrante di qualsiasi opera  
 
intellettuale o sociologica, pur se pefettamente strutturata. Lebanon è lo straziante racconto di una vicenda bellica, la trasposizione spontanea e devastante di un fatto reale, ancora vivo e sfuggente nella mente e nell'inconscio dei reduci, spesso militari di leva inesperti e impreparati ad uccidere. Se Balzer con Bashir seguiva la via della rielaborazione dell'evento a distanza di anni, toccando maggiormente gli   recensione Lebanon
aspetti psicologici ed emotivi dei protagonisti, "Lebanon" è un film fisico, adrenalinico, sporco, claustrofobico, irrazionale: gli spettatori sono nel carro armato con i giovani militari, ne condividono la visione soggettiva, prima esterefatta poi disperata, assistono alla perdita di controllo di una missione apparentemente non problematica. L'imprevedibilità e la follia della guerra pone i protagonisti davanti ad un bivio: mantenere l'innocenza o soccombere; tuttavia durante le battaglie non si sceglie, l'istinto di sopravvivenza si autoimpone pur se non è certo che esso basterà. Maoz stesso non ha scelta; non crea una sceneggiatura ad incastro, non definisce un piano di regia a tavolino, ma si abbandona all'evolversi degli eventi così come riappaiono nei suoi ricordi, dà libero sfogo alla loro manifestazione su pellicola, asseconda gli sguardi dei giovani, ne scruta le soggettive impaurite e tremanti. In definitiva ci invia una testimonianza, forte e fremente, grazie alla quale può tornare a sentirsi un uomo, ora che non ha più sensi di colpa o conti in sospeso con il suo doloroso passato.

(di Lucio De Candia)


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