LE VOYAGE EN ARMENIE
 

le voyage en armenie recensione

 
Ci sono registi che cambiano ogni volta, sovvertendo regole e stili, imponendo nuovi attori e nuove storie perdendo a volte il loro percorso primario, per rincorrere il nuovo totale. A volte le loro scelte risultano coraggiose, altre volte totalmente inefficaci. Ci sono altri registi che decidono di dedicarsi al loro tema prediletto, cesellandolo e cristallizzandolo, usando gli attori oramai feticcio e fregandosene dei risvolti politici. Uno di questi è il bravo Robert Guidiguien che porta a Roma il funzionale ma intenso “A Voyage en Armenie”. Un padre malato e una figlia medico sono ai ferri corti nei loro rapporti. Lui sa di essere malato e scappa nel suo paese d’origine, l’Armenia. Lei vuole salvarlo e giunge lì per riportarlo in Francia. Ma la sua ricerca riserverà molte sorprese. Non c’è Marsiglia, ma l’Armenia, e il risultato  
 
cambia, anzi si stravolge. Il regista parte da un canovaccio classico (il viaggio alla ricerca di qualcuno) ma capisce che bisogna parlare di altro, non solo del marcio dei rapporti, ma anche del marcio di un paese dilaniato dai conflitti con Francia e Turchia. Il viaggio di Anna non è solo quello dentro e fuori il suo sé, ma un viaggio attraverso un popolo che tenta di vivere in un mondo migliore. Lei diviene un pò armena,  
perché la forza di quel popolo e il loro attaccamento alla vita sono necessari. Sebbene con qualche eccesso di lunghezza, qualche incongruenza e inverosimiglianza, il regista elabora una istantanea civile e politica con una maestria rara, non solo coinvolge lo spettatore, lo porta anche a riflettere sempre e comunque su quello che accade. Bravissimi come sempre gli attori, una spanna su tutti la misurata ed intensa Ariane Ascaride, vera e propria musa del regista.

(di Gabriele Marcello )

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