LE VITE DEGLI ALTRI
 

recensione le vite degli altri

 
Ci sono opere che fanno bene, che vanno viste, che vanno fatte. “Le vite degli altri” è una di queste. E’ tutto ed è una cosa soltanto. E’ documento storico, è squarcio aperto su una realtà ancora per molti versi sconosciuta, è indagine sugli anfratti bui dell’animo umano, è riflessione morale sulle scelte dettate dalla coscienza di ciascuno, è una storia d’amore, è un film di denuncia, è un apologo incondizionato sulla forza dell’arte, l’unica capace di regalare l’emozione di sfuggire anche solo per un momento alle miserie di una vita orribile. Che è orribile perché gli uomini sono orribili. E’orribile la vita del capitano Gerd Wiesler (Ulrich Muhe), agente della famigerata Stasi, la polizia di Stato che nella Germania Est, attraverso centinaia di migliaia di informatori, e cimici, e microfoni, e intercettazioni telefoniche, tiene sotto  
 
controllo l’intera popolazione, ossessionata dallo scovare possibili eversori nemici del partito. I nobili principi che alimentano le ideologie diventano mere ipocrisie quando si scontrano con le meschine ambizioni di chi detiene il potere. In nome del proletariato, dell’uguaglianza, del comunismo. Gela il sangue nelle vene la sequenza della prostituta, con lui che la implora di restare ancora un po’ e lei che  
di rimando gli dice di prenotare almeno un’ora la prossima volta lasciandolo solo nel suo appartamento incolore. Nessuna emozione sembra attraversare il suo sguardo freddo che tuttavia si riempie di lacrime quando sente suonare Beethoven al pianoforte. Gli affidano il compito di spiare una coppia di artisti e gli sarà fatale. Lui è uno scrittore. Lei un’attrice di teatro. Due artisti, non a caso. Non per sé, non per loro, non per l’ingiustizia in quanto tale il glaciale Wiesler decide di rinnegare tutto ciò per cui ha sacrificato la vita. Ma per l’arte che in essi s’incarna, per il pubblico, per tutti coloro che come lui forse non vogliono cambiare il mondo – perché non ci pensano o non pensano che il mondo si possa cambiare – e trovano nell’arte rifugio e speranza. Il suo è un sacrificio estremo, destinato a restare nell’oblio, in favore di tutti tranne che di se stesso. Nessuna gloria gli riserverà il futuro ma solo buste da aprire col vapore e poi volantini da distribuire, dopo che il muro è caduto e tanta gente ha dovuto cercare un faticoso ricollocamento. Gli uomini non sono tutti orribili. Non lo è lui. Non lo è lo scrittore, (interpretato da Sebastian Koch, di recente visto in “Black Book”), intellettualmente onesto e innamorato, lo è un po’ di più la sua compagna, un’eccezionale Martina Gedeck, che non riesce a resistere al ricatto e al compromesso. Questioni di priorità si potrebbe dire. Una macchina da scrivere, una macchia rossa e lo struggente finale è lì per rilasciare definitivamente a “Le vite degli altri” il lasciapassare per l’Olimpo dei capolavori. Oscar come miglior film straniero dopo aver racimolato una ventina di riconoscimenti nei festival di tutto il mondo, l’opera prima di Florian Henckel von Donnersmark affascina, incanta, commuove ed innalza. Il giovane regista (classe 1973) ha definito l’Oscar un premio bellissimo e tristissimo, perché solo 17 anni sono passati dagli eventi narrati e le umiliazioni che tanta gente ha dovuto subire sono ancora vive e spesso ignorate. Dopo aver ascoltato l’Appassionata di Beethoven Lenin si chiese come si poteva essere ancora cattivi. Ce lo possiamo chiedere anche noi dopo aver visto questo film. Dedicato a tutte le persone buone. A tutte le persone che film come questo ancora li fanno ed hanno il cuore per farli.


(recensione di Mirko Nottoli )

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