LE STELLE INQUIETE - RECENSIONE
 
locandina le stelle inquiete
Locandina "Le stelle inquiete"

le stelle inquiete - recensione

 
Una vita breve e intensa, quella di Simone Weil. Filosofa, di famiglia ebraica, militante tra le file dei rivoluzionari in quella fetta di Novecento stravolta dai nazionalismi, devota a una forma tutta naturalistica e antidogmatica di cristianesimo, operaia e bracciante al fianco dei pił umili per "sporcare" il pensiero con l'azione e inventarsi un modo pił puro e coerente di vivere, morta di privazioni in un sanatorio inglese nel 1943, a trentaquattro anni. Un'esistenza fondata sulla lotta alle ingiustizie, uno spirito fiero costretto in un corpo esile e maldestro. Una figura schiva e affascinante, che il tempo e la Storia hanno tinto di mitico. Emanuela Piovano, regista indipendente, titolare della casa di produzione Kitchenfilm, ha isolato un momento della vita di Simone Weil in cui la filosofa ha ceduto il passo alla donna: un luminoso interludio,  
 
l'estate del 1941, che coincide con il soggiorno della Weil nel Sud della Francia, in casa del "filosofo contadino" Gustave Thibon e di sua moglie. Thibon, che curerą l'edizione de L'ombra e la grazia , uno degli scritti più celebri della Weil, è un reazionario "illuminato", un monarchico dubbioso. Impigrito dalla placida routine campagnola, si lascia irretire dalla dialettica nervosa e insistente di Simone. A sua volta,   recensione le stelle inquiete

Simone si concede con Gustave una momentanea sospensione dal proprio idealismo, un piccolo cedimento alla sensualità. L'idillio tra i due è una parentesi tra i tumulti della Storia, una deroga al dovere e alla guerra. L'intuito della Piovano ha colto in questo barlume di debolezza la profonda umanità di Simone Weil e ne ha tratto un quadretto naif odoroso di fieno, una scampagnata bucolica nel passato. Le stelle inquiete è un piccolo film con troppe ambizioni, intagliato in quella difficile cifra stilistica che è il minimalismo. Un racconto essenziale, fatto di colori pastello e di chiaroscuri, di melodie nostalgiche e di campi lunghi su cascate di prati e vitigni. Che sembra non avere pretese, ma pecca di falsa modestia. E affonda nella stilizzazione. Fatta eccezione per l'interprete di Simone Weil (Lara Guirao), che infila con precisione sguardi sognanti, gesti nodosi e voce arrochita, il cast non è all'altezza degli obiettivi. Sulla debolezza della recitazione infieriscono un plot goffo e sbrigativo e una pioggia di retorica scaricata senza pietà sulla sceneggiatura. Il film di Emanuela Piovano è una prova acerba di estetica minimal, che azzecca il tema ma non i toni. Se il fascino di Simone Weil ne esce esaltato non è certo per il ritmo stanco, le frasi fatte e le svolte precipitose, ma solo per lo spunto eccezionale: una vita e una donna fatte per essere romanzate.


(recensione di Elisa Lorenzini )


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