LE REGOLE DEL GIOCO
 

recensione le regole del gioco

 
Di film sul poker è pieno il cinema, con tutto ciò che ne consegue: apologia della scaltrezza, del sangue freddo, del talento e dei punti impossibili. Sarebbe già complicato aggiungervi qualcosa di nuovo a mettercisi di impegno, figuriamoci con una sceneggiatura stiracchiata, scritta a quattro mani probabilmente durante un paio di week-end con la pioggia, che nel riproporre la classica lettura del gioco come metafora della vita, non fa che cavalcare buoni sentimenti e facile retorica, spiriti naif dallo spessore introspettivo inconsistente assemblati su scontatissimi sviluppi narrativi. Drew Barrymore, anima candida in cerca di fortuna giunge a Las Vegas (non propriamente il luogo adatto per le anime candide) dove incontra lui, Eric Bana, fenomeno del poker sempre sul lastrico la cui indole aggressiva non conosce il giusto mezzo  
 
e lo spinge di tanto in tanto a compiere un salto in piscina anche quando la piscina è vuota. Ha un conto aperto con il padre, l’inossidabile Robert Duvall, indiscusso mito del panno verde, con indistinte colpe da espiare alle spalle. Quali siano queste colpe non si capiscono, o se si capiscono si capiscono poco: sembra il diavolo, ma la faccia proprio non ce l’ha, forse per via della tintura per capelli. Alla regia Curtis Hanson  
si dimentica di aver girato “L.A. Confidential” e fa quello che può, il che equivale a dire poco. Va dove lo porta la corrente, seguendo il più lineare degli schemi, quello alla “Over the top”, verrebbe da dire: una serie di scontri successivi, tra vittorie e sconfitte, in vista del grande torneo finale dove si ritroveranno tutti gli avversari incontrati durante il cammino (della vita naturalmente). Ne resterà soltanto uno e intorno all’ultimo tavolo già si può immaginare chi si siederà. C’è da dire che quando le carte girano gira anche il film con Eric Bana che sa metterci la faccia giusta. Le note dolenti giungono quando l’essere umano si sostituisce al croupier e, abbandonato a se stesso, “Le regole del gioco” frana lungo il crinale dell’ovvio trasformandosi in una favoletta esistenziale da scuola elementare dove il male in realtà non esiste, l’odio si trasforma all’occorrenza in amore, soprattutto se si parla di scontri generazionali padri/figli, l’importante comunque non è vincere ma comprendere le diverse priorità e dove il perdono trionfa come valore incontrastato anche se alla fin fine non si capisce, da queste premesse, cosa ci sia da perdonare e perché.

(recensione di Mirko Nottoli )


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