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le particelle
elementari recensione
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“La verità
è come una
particella elementare:
non ulteriormente
divisibile”.
La verità è
quella del poeta,
romanziere e saggista
Michel Houellebecq:
“tutte le società
hanno i loro punti
deboli, le loro ferite.
Mettere il dito sulla
piaga e schiacciare
forte. Approfondite
il tema di cui nessuno
vuole sentire parlare.
L’altro lato
della medaglia. Insistete
sulla malattia, l’agonia
e la bruttezza. Parlate
della morte e dell’oblio.
Della gelosia dell’indifferenza,
della frustrazione,
della mancanza d’amore.
Siate abietti, sarete
veri”. Tratto
dall’omonimo
libro dai diversi
spunti autobiografici
(divenuto caso letterario),
il film osserva –
al pari di uno studioso
con la lente - le
vicende di due fratellastri
cresciuti dalla nonna
perché la madre
hippy li ha lasciati
ancora piccoli per
trasferirsi in India.
Uno è diventato
biologo molecolare
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impermeabile
ai sentimenti,
l’altro
(Moritz
Bleibtreu,
Orso
d’Argento
come
miglior
attore
protagonista
all’ultimo
Festival
di Berlino)
insegnante
di letteratura
erotomane,
sessista
e razzista.
La carenza
affettiva
del
primario
rapporto
materno
provoca
quindi
danni
comunque
ed un
vuoto
a cui
si risponde
con
reazioni
differenti.
Ma né
l’astinenza
né
la spasmodica
ricerca
di esperienze
placa
la fame |
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d’amore.
La vita poi,
per entrambi,
ha riservato
brutti colpi.
Perché
si è
alla mercè
di un duro
destino. La
produzione
è tedesca,
e sceneggiatura
e regia sono
state affidate
al giovane
Oskar Roehler
(ha già
diretto diverse
pellicole,
nessuna delle
quali arrivata
in Italia),
pressoché
sconosciuto
all’estero.
Del romanzo,
egli pensa
che sia “una
bussola che
indica dove
sta andando
la società.
Mi ha aperto
la mente totalmente,
spalancandomi
un universo.
Da anni aspettavo
un autore
così.
Houellebecq
è riuscito
a condensare
200 anni della
storia dei
valori nell’Europa
occidentale.
La sua premessa
è che
le relazioni
personali
e le condizioni
economiche
di base si
stiano deteriorando
lentamente
perché
la gente si
è allontanata
dalla religione,
e si lascia
guidare dalla
sete di sapere
e dalla ricerca
scientifica”.
Una nonna
vittima del
brodo bollente,
una donna
rimasta anni
in attesa
dell’innamorato
dell’infanzia
che l’ha
tenuta sempre
a distanza
e alla quale
verrà
asportato
l’utero,
un’altra
che paga cara
la propria
libertà
sessuale,
fino alla
terribile
scena del
figlio ubriaco
che canta
insulti a
squarciagola
contro la
madre semi-incosciente
in punto di
morte: a tanta
misoginia
si affianca
anche il sarcasmo
verso la controcultura
degli anni
’60
secondo un’ottica
che la riduce
ad edonismo
egoista e
irresponsabile.
E seppure
il film stempera
il pessimismo
del libro
con umorismo
e sviluppi
che concedono
un’apertura,
il voler essere
disturbante
con colpi
a effetto
risulta sempre
calcolato
e freddo.
(di Federico
Raponi )
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