LE LUCI DELLA SERA
 

le luci della sera recensione

 
Aki Kaurismaki con “Le Luci della sera” completa la trilogia che ha avuto inizio con “Nuvole in viaggio” e “L’uomo senza passato”. Nel primo film Kaurismaki trattava il tema della disoccupazione, nel secondo descriveva la vita dei senza tetto ed in questo ultimo affronta il tema della solitudine. Koistinen (Janne Hyytiainen) fa il guardiano notturno. E’ un uomo solo, alla ricerca di relazioni umane che non riesce in nessun modo ad instaurare. Si sente rifiutato da tutti, e quando incontra Mirja (Maria Jarvenhelmi), donna piacente e curata, crede di aver finalmente trovato una compagna con cui condividere la sua vita senza senso. Ma la donna è solo un tramite tra lui e coloro che lo strumentalizzano per loschi fini, privandolo dei suoi sogni, delle sue esili iniziative, del suo lavoro, e della sua libertà. Senza più speranza, Koistinen  
 
lascia che siano gli altri a decidere della sua vita, e ridotto ad uno stato di catatonia, non reagisce più, neanche contro tutto il male che gli viene inferto da coloro che lo circondano. Kaurismaki con “Le Luci della sera” ancora una volta rappresenta il film attraverso la personalità dell’attore protagonista. Il film ruota intorno all’immagine speculare del personaggio Koistinen, che, attraverso la m.d. p. viene trasportata da-  
vanti al pubblico, mettendo a nudo il suo essere, rinchiuso in una sorta di ossessiva e muta ricerca di un’umanità ingessata, paurosamente assente. Kaurismaki usa un linguaggio di scrittura cinematografica scomposto. Ogni elemento non si relaziona con gli altri, rimane solo, a se stante. Così è per le fasi del montaggio che non costituiscono una totalità nella ricezione attraverso l’ordine di sequenza. Anche i brani musicali della colonna sonora non supportano il senso della narrazione e delle immagini che sono immerse in un’atmosfera di staticità perenne, a tratti ripetitiva, che rimandano allo stato d’ansia e di disperazione del protagonista. Ed è così che Kaurismaki ancora una volta ci propone in “Le Luci della sera”, il suo mondo onirico, buio a causa di una società corrotta, in cui non c’è posto per l’animo nobile e cristallino di Koistinen, che, solo nella sua assoluta solitudine, attraversa le strade notturne di una Helsinki illuminata nei suoi palazzi di cemento senza grazia e sentimento. Nonostante il messaggio finale del film lasci un’apertura verso una possibile forma di aiuto, permane un indicibile senso d’angoscia esistenziale. L’eccessiva lentezza della narrazione, la ricerca di un linguaggio il più possibile incisivo per riuscire a mediare le sensazioni interiori, o meglio ancora il senso di eccitazione che lo stato di solitudine genera in un individuo, hanno fatto perdere di vista a Kaurismaki il risultato della fruibilità del film anche verso un pubblico cui è indubbiamente destinato. Il film, nella sua interezza, travalica il limite del cervellotico comunicare quegli stati d’animo che sono umani, ma che devono essere sempre narrati nella dimensione di una realtà reale e dinamica, e mai ossessiva.

(recensione di Rosalinda Gaudiano )

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