LE DEUXIEME SOUFFLE
 

recensione le deuxieme souffle

 
Si è aperta con Monica Bellucci e Alain Corneau la seconda Festa del Cinema di Roma. I due sono rispettivamente la protagonista femminile e il regista di “Le Deuxieme Souffle”, un ottimo “Noir”, remake del film che Jean Pierre Melville trasse nel 1966 dal romanzo di José Giovanni che Cocteau definì un capolavoro. In Italia il film si vide affibbiare il titolo di “Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide”. In questa rivisitazione di Corneau il protagonista maschile è Daniel Auteuil nella parte di Gu (nel 1966 il ruolo fu affidato a Lino Ventura), un gangster che, evaso dopo tanti anni di carcere, cerca di rientrare nell’ambiente della malavita che però trova cambiato, senza più un codice d’onore. La droga ha fatto il suo devastante ingresso nella società. Gu riconquista la sua donna, Manouche (Bellucci), ma ha bisogno di soldi e  
 
accetta di partecipare a una rapina. Le cose vanno male e viene accusato di tradimento dai suoi complici e da questo momento non avrà altro scopo che difendere il proprio onore. La trama così sintetizzata non rende merito al film che invece è degno di essere visto e apprezzato per l’ottima regia, oltre che per l’interpretazione di tutti gli attori che rendono omaggio al buon cinema con la loro prestazione. Auteuil è un  
perfetto Gu, uomo ormai fuori dal mondo in cui è appena ritornato; il suo ambiente si è incattivito, non ci sono più regole e a questo si contrappone una polizia che da un lato è rappresentata dal commissario Blot (Michel Blanc, bravissimo) che pur facendo un mestiere duro non ha perso la sua umanità, e per questo anche lui come Gu appare un uomo di altri tempi. Dall’altro lato, dove onore, correttezza e umanità si affievoliscono fino a scomparire, la polizia di Marsiglia usa negli interrogatori metodi da Ghestapo. Dunque i due mondi, quello della polizia e quello della malavita, da sempre contrapposti, da sempre nemici, inevitabilmente complementari, cambiano insieme, in peggio. Tutti i ruoli di “Le Dernier Souffle” sono ben caratterizzati e spicca quello di Manouche (in francese significa zingara, gitana), che sullo schermo ha le armoniose sembianze di Monica Bellucci, insolitamente bionda, la quale così descrive il suo personaggio durante la conferenza stampa: “Manouche viene dalla strada, ha conquistato uno status di borghese, dirige con perizia il suo locale, un mestiere difficile in un mondo dominato dagli uomini, veste con eleganza, ma resta una selvaggia”. A quali attrici si è ispirata per questo ruolo? “Ho proposto io di rendere Manouche bionda, perché mi sono ispirata a tutte le attrici di quell’epoca, tutte bionde: Brigitte Bardot, Simon Signoret, Catherine Deneuve, ma anche a Lauren Bacall, alla Sharon Stone di “Casinò e a Kim Basinger in “L. A. confidential”. È un ruolo che ho considerato come un regalo”. Come è stato lavorare con Daniel Auteuil? C’è una scena del film in cui vi baciate appassionatamente. “ Daniel – racconta l’attrice – mi ha detto che quello è stato il più bel bacio che ha dato in tutta la sua vita”. E noi aggiungiamo che non facciamo nessuna fatica a crederlo. Se il film ha un difetto, questo risiede nella durata, due ore e 35 minuti. “Ma – ci dice il regista – è il romanzo che ha suggerito la durata della sceneggiatura ”. Per il resto tutto nel film funziona, dalla fotografia di Yves Angelo alle scenografie, passando per le musiche e i costumi. Un film da non mancare per chi apprezza il buon cinema europeo e in particolare quello francese. Stranamente in Italia questa pellicola non ha ancora un distributore, speriamo che lo trovi al più presto.


(recensione di Claudio Montatori )


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