LE COLLINE HANNO GLI OCCHI
 

- recensione -

 
“Le colline hanno gli occhi” è il remake dell’omonimo film del 1977 diretto da Wes Craven, qui in veste di produttore. Sfruttando il successo avuto dai recenti remake di film horror quali “Non aprite quella porta”, Wes Craven affida uno dei suoi lavori meglio riusciti ad Alexandre Aja, salito alla ribalta con “Alta tensione”. Il giovane regista francese e il suo fedele amico Gregory Levasseur, riescono nell’intento di riambientare il film ai giorni nostri, rimanendo fedeli allo spirito originale del film, ma imprimendo un ritmo e una tensione capaci di soddisfare un pubblico moderno, tanto che le scene più cruente sono state inizialmente censurate negli USA. Come cita lo slogan del film “Il più fortunato sarà il primo a morire”. Paradossalmente viene proprio da loro l’idea di ampliare un tema, quello degli esperimenti nucleari sul suolo americano  
 
americano, appena accennato nella pellicola di Craven, e che qui diventa – oltre che denuncia sociale – il pretesto per passare da una famiglia assassina ad una progenie di mostri deformi e terrificanti, vittime innocenti ma terribili carnefici. Paradossale in quanto la paura della Bomba e delle contaminazioni radioattive erano tipiche proprio degli anni ’70 in USA: non a caso anche nei fumetti dell’epoca, molti supereroi otteneva-  
no i loro poteri dalle radiazioni, una sorta di deus-ex-machina capace di rendere plausibile qualunque devastante effetto collaterale. Un budget all’altezza e un make-up ben riuscito non sono però gli unici pregi di questo film, che esce addirittura vincente dal confronto con il suo predecessore. Alexandre Aja conferma tutto il suo talento giocando con azzeccate soluzioni visive e scenografiche, reinventando di fatto molte delle ambientazioni del film. Inusuale per il genere anche la maggiore caratterizzazione dei protagonisti: una tipica famiglia americana (con tanto di immancabile cane) spersa nel deserto e alla mercé di mostri assetati di sangue. Riuscitissimo il forte contrasto tra la normalità iniziale e l’incubo in cui precipitano nell’arco di una sola notte. Nel cast nessun nome roboante ma un gruppo di ottimi attori ben calati nella parte, dal padre Ted Levine (visto di recente nella serie TV “Detective Monk”, ma conosciuto come il “Buffalo Bill” de “Il silenzio degli innocenti”), alla figlia Emilie De Ravin (conosciuta in “Lost”), fino al genero Aaron Stanford (il Pyro di X-Men), sicuramente più convincente dell’attore che interpretava lo stesso ruolo 30 anni fa. Un film da non perdere per gli appassionati del genere che non scontenterà nemmeno i cultori del film originale.

(di Flavio Nani )

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