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lady in the water
recensione
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M. Night Shyamalan
deve essersi drogato.
E’ l’unica
spiegazione plausibile
dopo aver visto “Lady
in the water”.
Colpito dalla sindrome
da “Sesto senso”,
caso unico accertato
nel mondo, per cercare
di bissare il successo
della sua opera prima,
il regista di origini
indiane è ormai
costretto, da insopprimibile
impulso, alla realizzazione
di thriller soprannaturali
con ridondante colpo
di scena finale. Non
un colpo di scena
qualunque, ma un colpo
di scena capace di
rivoltare come un
calzino tutto quanto
visto fino ad allora.
Gli riuscì
con il “Sesto
Senso” (anche
se il gioco era disonesto);
gli riuscì
anche dopo, seppur
con minore efficacia.
Alla quinta pellicola,
cioè questa,
il colpo di scena
è che non c’è
colpo di scena. Per
una volta che lo si
aspettava e soprattutto
lo si sperava il “coup
de theatre”
non arriva. Ed è
questo |
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il
più
grande
“coup
de theatre”.
“Ma
come
è
tutto
lì?”
ci si
chiede.
Ebbene
sì,
è
tutto
lì.
Nessuna
svolta
risolutrice,
nessun
colpo
d’ala
in grado
di ribaltare
i significati,
nessun
colpo
di bacchetta
magica
che
ci faccia
sospirare
“aah
beh,
era
solo
un sogno…”.
Quando
le luci
si riaccendono
“allibito”
è
la parola
esatta.
A dire
il vero
tutta
la precedente
produzione
del
regista
è
rimasta
a lungo
in bilico
tra
l’essere
un capola- |
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voro
o la “boiata
pazzesca”
di fantozziana
memoria. Ma
finora se
l’era
sempre cavata,
grazie alla
tecnica, al
talento, ad
un’immaginazione
fervida e
intelligente.
“Lady
in the water”
invece è
senza appello.
Lo schema
è il
solito che
si trascina
ormai sulle
ginocchia:
una comunità
chiusa un
po’
sfigata; un
qualcosa di
soprannaturale
che irrompe
dall’esterno;
un orribile
mostro fuori
che attende.
Creare suspance
non è
mai stato
così
facile: il
trucco è
mostrare fino
a metà
film il mostro
sfocato sullo
sfondo, in
modo che lo
spettatore
non capisca
esattamente
di che si
tratta (la
prima apparizione
dell’essere
con il nostro
che si rifugia
in casa è
presa pari
pari da “The
Village”).
E’ in
fondo lo stesso
“gioco
disonesto”
alla base
de “Il
Sesto Senso”:
mostrare solo
quello che
ti pare affinché
chi guarda
abbia una
percezione
parziale e
quindi sbagliata
di quanto
sta avvenendo.
Attenzione:
non siamo
così
ingenui da
non cogliere
la metafora
soggiacente
il racconto.
Shyamalan
non è
un bluff e
per questo
non va liquidato
con noncuranza,
anche se la
sua presunzione
sta raggiungendo
limiti di
guardia visto
che ora non
si accontenta
più
di apparizioni
alla Hitchckock
(insopportabile
quella di
“The
Village”
dove si vede
male riflesso
su un vetro)
ma si ritaglia
pure ruoli
da salvatore
dell’Universo
(come in questo
caso). Dopo
averci detto
la verità
sull’aldilà,
la verità
sui fumetti,
la verità
sui cerchi
di grano,
la verità
sulle comunità
bacchettone,
ecco ora la
verità
sulle fiabe.
Nella storia
della ninfa
(che si chiama
Story e questo
la dice lunga)
trovata nella
piscina di
un condominio
i cui condomini
si uniscono
tutti per
riportarla
a casa (E.T.
è nei
paraggi),
non si può
non cogliere
la metafora
della narrazione,
l’autoreferenzialità
del racconto
che racconta
se stesso,
del potere
della parola
e del bisogno
di credere
in essa, del
film che si
sviluppa seguendo
i meccanismi
consolidati
alla base
dei generi
cinematografici.
Ma se la metafora
va bene la
sua messa
in scena è
assolutamente
insufficiente.
Di “Lady
in the water”
il regista
ha affermato
che è
un film a
cui tiene
tantissimo,
qualcosa in
cui si identifica
e che difenderà
con passione.
Ma affermare
il bisogno
di difenderlo
non è
già
un’ammissione
di colpa?
(di Mirko
Nottoli
)
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in the water"! |
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