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LA VITA SEGRETA DELLE API |
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recensione la vita segreta delle api
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Una ragazzina orfana di madre, allevata da una tata di colore e da un padre violento, parte alla ricerca del passato. Lily (Dakota Fanning) e la bambinaia Rosaleen (Jennifer Hudson) lasciano il loro razzista paesino della Carolina del Sud per raggiungere la non lontana cittadina di Tiburon, nella quale sperano di soddisfare il loro desiderio di protezione materna. Davanti a loro si dischiude una casa rosa confetto - abitata da tre sorelle nere famose per la loro apicoltura - in cui troveranno le risposte e l'affetto cui anelano. L'eccentrica e raffinata June (Alicia Keys) farà loro scoprire quanto elegante e determinata può essere un'afroamericana, la problematica May (Sophie Okonedo) ricorderà loro la forza soverchiante delle emozioni e la materna August (Queen Latifah) le guiderà con la generosità e l'esperienza. |
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"La vita segreta delle api" è un film che non deluderà gli amanti
dei film sentimentali al femminile. Gli ingredienti ci sono tutti: attrici bravissime, musiche romantiche, storia e finale strappalacrime, amori impossibili, ingiustizie sociali. Il tutto confezionato in un tepore estivo un po' troppo calcato (addirittura i nomi delle protagoniste sono
quelli dei mesi caldi), ma che è sorprendente se si pensa che le riprese si |
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sono svolte in pieno inverno. Il pacchetto è dunque full-optional, con tanto di frasi ad effetto e metafore sulla vita. Al solito, però, la sovrabbondanza di melassa aggiunge falso al falso, finché la rappresentazione svela la sua vacuità e quella casa rosa piena di amore si trasforma in un innocuo palcoscenico dove attrici di grido urlano la propria bravura. E la bravura c'è, non si può negare. Memorabile di sicuro la performance di Sophie Okonedo (già candidata all'Oscar per "Hotel Rwanda"), meno quella della talentuosa Dakota Fanning cui talvolta fa difetto l'innocenza di bambina. "La vita segreta delle api" ha, d'altra parte, il pregio di essere un film amato sia dagli interpreti che dagli autori - il che si nota soprattutto nella puntuale definizione dei personaggi -; la regista Gina Prince-Bythewood deve aver adorato il best seller da cui ha tratto il film, perché ne riproduce le fattezze con la cura di chi non vuol far torto all'originale, ma dargli vita con passione. Anche le interviste rilasciate in occasione della prima mondiale a Toronto rispecchiano questa sensazione di legame affettivo che lega cast, crew e il loro film. Detto questo, la pellicola scivola nel dimenticatoio molto presto, andando a nutrire la folta schiera di opere che non hanno avuto il coraggio di abbandonare i quattro accordi di chitarra sentiti mille volte, per cercare di comporre una vera sinfonia.
(di Marco Santello)
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