LA VELOCITA' DELLA LUCE
 

recensione la velocità della luce

 
Mario (Peppino Mazzotta) è alla guida della sua macchina, percorre l’autostrada, e a noi, spettatori, non resta che fare il viaggio con lui. Questo Mario, personaggio ambiguo, alla guida della sua macchina cerca distrazioni, telefonando a chi non conosce, fino a beccare dall’altro capo del filo, un’operatrice di un call-center, Beatrice (Beatrice Orlandini), con la quale intesse uno strano dialogo. Mario però tiene d’occhio una macchina, alla cui guida c’è un certo Rinaldo (Patrick Bauchau). Lungo il viaggio, i due personaggi si incontreranno, comunicheranno più o meno le loro stranezze e storie di vita, non trascurando nella loro diade la presenza della misteriosa Beatrice. Protagonisti sono i personaggi chiusi nelle loro macchine, che viaggiano e viaggiano. Definito un noir a tre, presentato in concorso al "Courmayeur  
 
Noir Festival”, “La velocità della luce” è il primo lungometraggio diretto da Andrea Papini, di cui è anche sceneggiatore insieme a Gualtiero Rosella. Mario e Rinaldo, due personaggi ossessionati, disturbati da un senso di vuoto che la contemporaneità della vita ormai relega in solitudini individuali e maniacali, braccati nelle loro macchine, comunicano con l’esterno solo grazie alla tecnologia che ha robotizzato la comunicazio-  
ne umana. Lunghi silenzi, lunghi dialoghi avvilenti, la noia alla fine attanaglia in modo incontrollabile e sembra che questo viaggio, tra luci e arterie moderne che sono le autostrade, non finisca mai. Il finale, prevedibile, lascia veramente l’amaro in bocca. Girato con moderne tecnologie digitali, usando anche l’antica tecnica del trasparente (retrospezione), il film vanta una sapiente fotografia diretta da Benjamin Nathaniel Minot, una più che buona recitazione di Peppino Mazzotta (l’assistente del commissario Montalbano nell’omonima serie TV), ma si sgretola senza remore, frantumandosi nell’ordito di una trama inconsistente e ammorbante.


(recensione di Rosalinda Gaudiano )


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