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la strada di levi
recensione
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Sopravvissuto ad Auschwitz,
il 27 gennaio 1945
Primo Levi riconquistò
“l’impossibile
libertà”.
Per tornare a casa
a Torino, intraprese
un percorso lungo
seimila chilometri
passando per otto
nazioni nell’arco
di nove mesi. Quell’esperienza
la raccontò
nel libro la Tregua
(1963). Marco Belpolìti
(scrittore, insegnante,
curatore dell’opera
di Levi) ha proposto
al regista Davide
Ferrario un documentario
che ripercorresse
il medesimo tragitto,
occupandosi l’uno
del testo mentre poi
l’altro lo ha
prodotto e diretto.
In un parallelo tra
ieri ed oggi: lo scrittore-chimico
si sentiva al termine
della tregua che separava
il secondo conflitto
mondiale dalla Guerra
Fredda, per i due
invece questa va dalla
caduta del muro di
Berlino all’11/9.
Il diario di viaggio
si muove tra le rovine
dell’impero
sovietico, come nella
città operaia
de- |
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caduta
di Nowa
Huta,
in compagnia
del
cineasta
Andrej
Wajda
che
l’aveva
filmata
ne “l’Uomo
di marmo”
(1976),
una
delle
tappe
del
“communism
tour”
pubblicizzato
sul
web
a prezzi
stracciati.
Oppure
a Chernobyl,
tra
gli
edifici
diroccati
di Prypiat
(“la
Zona”),
città
di 50
mila
abitanti
evacuata
dopo
il disastro
nucleare.
E se
il socialismo
reale
funziona
tuttora
nel
mondo
a parte
della
Bielorussia,
dove
il controllo
politico
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convive con
le imprese
agricole collettive
(Kolkoz) che
soddisfano
il fabbisogno,
in Moldavia
per la povertà
la gente è
costretta
ad emigrare.
Non mancano
sussulti di
nazionalismo
a L’viv,
in cui il
cantante tradizionale
ucraino Igor
Bilozir venne
assassinato
nel 2000 da
giovani russofoni,
o in Germania,
ad un incontro
neonazista
dell’NPD.
Mentre l’Occidente
pervade l’immaginario
dei ragazzi
di Leopoli
(alla “Festa
della Gioventù”
vediamo moto
Harley Davidson,
scritte su
Eminem, insegne
di Hollywood)
e le fabbriche
della Romania,
esportate
da ditte italiane
in cerca di
manodopera
a basso costo.
Il progetto
ha richiesto
quattro anni,
e gli autori
sono stati
in movimento
più
o meno lo
stesso tempo
del loro predecessore,
in qualche
modo accompagnati
da quella
presenza (“con
i nostri occhi
e le sue parole”).
Gli accadimenti
ne hanno ridimensionato
le pianificazioni,
proprio come
successe a
lui. Con la
meta incerta
e lontana,
ci si focalizza
sulla via
predisponendosi
agli incontri
e all’anima
di un luogo,
e a sessant’anni
di distanza
era probabilmente
questo lo
spirito principale
da recuperare,
la necessaria
similitudine.
Combinazione
di finzione
e documentario,
digitale per
le riprese
più
studiate e
pellicola
per le istantanee,
commento sonoro
di Daniele
Sepe e musica
locale (non
folk, ma originale
incontro di
tradizione
e modernità),
“la
Strada di
Levi”
è sostenuto
da afflato
poetico, amore
letterario,
rigore intellettuale.
Serviti da
un acuto spirito
d’osservazione
e una notevole
fotografia.
(recensione
di Federico
Raponi )
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strada di Levi"! |
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