LA STELLA CHE NON C'E'
 

la stella che non c'è recensione

 
Senza cattiveria, senza alcun tipo di preconcetto, ma con speranza a voglia di dire “finalmente un italiano decente”. E invece ci siamo sbagliati. Più che “La stella che non c’è” dovremmo dire il film che non c’era, o meglio, il film che doveva essere. Siamo tutti d’accordo, Amelio è un maestro e Il Ladro di Bambini è un capolavoro, ma stavolta il film manca del tutto, o meglio manca quella voglia di osare che già si presagiva ne Le chiavi di casa, in cui il tema intoccabile dell’Handicap rendeva di conseguenza intoccabile il film. Coadiuvato da un buon Sergio Castellitto, il film parla di Vincenzo Buonavolontà, un manutentore metalmeccanico che per trent'anni ha lavorato con passione in un'acciaieria che sta per essere dismessa. L'altoforno - ormai in disuso - è stato acquistato da una multinazionale cinese e trasportato  
 
immediatamente nella sua nuova patria. Il problema è che da molto tempo Vincenzo lavorava alla risoluzione di un guasto all'impianto, un'anomalia tecnica che in passato aveva causato parecchi incidenti. Solo dopo la partenza dei cinesi riesce finalmente a venirne a capo e - senza pensarci due volte - prende il primo volo per Shanghai con l'obiettivo di consegnare di persona la centralina idraulica modificata con le  
sue mani; il tutto per fare in modo che la macchina riesca a funzionare senza più problemi. Una brutta sorpresa però lo attende in Cina, perché la famosa società acquisitrice ha rivenduto a sua volta l'impianto a terzi e di questo sembra non esserci più alcuna traccia. Impossibile per Vincenzo viaggiare in lungo e largo, specialmente in un Paese in cui la lingua è a dir poco ostica, alla ricerca disperata di tutte le acciaierie. Ad aiutarlo in questo viaggio da outsider sarà Liu Hua, una traduttrice cinese poco più che ventenne che aveva già conosciuto in Italia nel giorno del famoso affare, e che per colpa sua aveva perso il lavoro. Storia alta che serva a nobilitare la causa, ma il film non regge, non ti provoca nessuna pietas, nè francescana nè cinematografica, MA SOLO NOIA E MALUMORE. Certo non è una commedia, ma quest’opera non brilla nè per la trama, scontata e mal scritta, nè per guizzi di regia particolari. Il tema del viaggio , tanto caro al regista, si sfrangia in una serie di immagini madre che non riescono mai ad emozionare sul serio lo spettatore, ma rimangono avulse nella loro perfetta cristallizazione. Il film ha poi la presunzione di essere apolitico, quando invece è fin troppo schierato (dove non lo diciamo, spetta allo spettatore ipotizzarlo) e questo nuoce maledettamente all’operazione. Di positivo rimane la prova di Castellitto, le scenografie e la fotografia, e poi infine, il nome del regista, ma solo quello.


(di Gabriele Marcello )

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