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recensione la prima linea
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Vale la pena conquistare un mondo migliore se per riuscirci bisogna sacrificare la propria umanità? E' questo l'interrogativo che Sergio Segio si pone prima di confessare alla sua donna di voler abbandonare "Prima Linea", organizzazione terroristica che cercò di destabilizzare l'Italia tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli ottanta, lasciandosi alle spalle una serie di omicidi tristemente noti. Il film, liberamente tratto dal romanzo "Miccia Corta" scritto dallo stesso ex terrorista, ritorna a parlare della storia recente del nostro Paese e degli anni di piombo, già abbondantemente sviscerati dal cinema, in particolare sapientemente trattati in "Buongiorno, Notte" di Bellocchio. Tuttavia in questo caso non si indaga sulle Brigate Rosse e sugli eventi ad esse legati, ma si allarga lo spazio ad un microcosmo più ampio, partendo dal |
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racconto in prima persona di un reduce. Non solo si cerca di scoprire le motivazioni socio-politiche che animarono i terroristi e le loro cruente attività, ma si indaga intorno agli umori privati di un gruppo di ventenni di quegli anni, tanto condizionati dai relativi eventi storici da uscirne martoriati, vittime e carnefici, nonostante fossero stati educati all'amore per la vita. Incapacità di resistere al vento della |
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ribellione (non riuscendo a rimanere dei semplici testimoni, più o meno partecipi) o alla foga e all'irruenza giovanile, posta al servizio di valori quotidianamente schiacciati; soprattutto incapacità di rimanere in contatto con i sussulti del proprio animo straziato, sopraffatto dalla razionalità e dalla ricerca di verità assolute da concedere in dono alla classe operaia. Il racconto di un passato "sbagliato" avviene tramite il ricorso ad una voce over onnipresente, scelta inevitabile per trasportare su grande schermo una storia densa di avvenimenti vissuti in prima persona e per dare sfogo ad una confessione semplice e diretta. Uno stile narrativo (e aggiungiamo di regia) non certo originale ma efficace nel ricollocare lo spettatore in un contesto temporale lontano trent'anni. Il luogo è sempre quello: un paese immobile, che non vuole cambiare.
(di Lucio De Candia)
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