LA MIA VITA SENZA ME
 

la mia vita senza me recensione

 
Nei 23 anni di Ann ci sono due figliolette, un marito – suo primo e unico uomo - conosciuto ancora minorenne, una madre burbera, una sola amica e collega di pulizie all’Università, un padre che non ha più visto da piccola allorquando è entrato in prigione, una roulotte. La povertà non permette vacanze ma c’è l’amore, la famigliola è unita e in armonia. D’improvviso la donna scopre di avere un tumore che le lascia due mesi di vita. Rifiuta allora le cure e un’agonia ospedaliera, a cui vuole sottrarre anche i suoi cari tenendoli all’oscuro, e stila un elenco di desideri da realizzare. Tra questi un’altra relazione, parallela, per capire com’è far l’amore con una persona differente. Laureata in storia contemporanea, la sceneggiatrice e regista Isabel Coixet ha fondato un’agenzia pubblicitaria, della quale è  
 
stata direttore creativo, e la società di produzione cinematografica Miss Wasabi Films, con la quale ha girato documentari e videoclip. “La mia vita senza me” è il suo secondo lungometraggio, coprodotto dalla compagnia El Deseo dei fratelli Almodovar, adattamento del romanzo “pretending the bed is a raft” della co-sceneggiatrice Nanci Kincaid. Nell’affrontare il tema di una fine in prima persona, la Coixet,  
grazie pure ad un’attonita Sarah Polley, fa provare alla protagonista la consuetudine degli affetti domestici e la routine del quotidiano con una consapevole intensità, la solitudine interiore del non potersi confidare (coinvolgendo quindi lo spettatore), la disperata vertigine di avere come unico “privilegio” la data della propria morte e di conseguenza il poter scegliere come arrivarci. La regista riesce a conciliare nella ragazza la razionalità realistica e organizzatrice con una giovane età affamata di esperienze che saranno precluse. Ann vuole lasciare un segno sentimentale, nella fusione tra egoismo e pensiero per gli altri: permettendo ad uno sconosciuto di innamorarsi di lei, facendosi vivere dagli altri mai come se fosse l’ultima volta, visitando in carcere il papà, trovando una moglie e madre sostituta, registrando messaggi per ogni compleanno delle figlie fino alla maggiore età. L’episodio più commovente è proprio questo, in un film intimo e di un ritegno che evita lacrime facili.
(di Federico Raponi )

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