LA MASSERIA DELLE ALLODOLE
 

- recensione -

 
"La masseria delle allodole", tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan, narra una vicenda di sofferenza e dolore che ha investito la minoranza armena in Turchia e che il cinema dei Taviani si prende carico di rappresentare in tutta la sua crudezza. Il genocidio degli armeni, avvenuto nel 1915 ad opera dei Giovani Turchi, non era stato finora trattato ed ancora oggi il governo nazionale pone su di esso un terrificante silenzio. Tant’è vero che il film, presentato all’ultimo festival di Berlino, ha attirato l’attenzione della stampa internazionale ed ha fatto persino temere la ritorsione di qualche gruppo fanatico (che però non c’è stata). Ovviamente, i Taviani hanno ribadito che la loro opera non voleva essere contro la Turchia, ma contro un silenzio di fronte al quale l’arte non può tacere. Così la pellicola di questo film sembra  
 
dotarsi di una istanza testimoniale pronta ad accogliere il dolore della popolazione armena che subì uno sterminio razionalmente organizzato. Attraverso la storia di una famiglia, gli Avakian, i registi ci raccontano un massacro in cui l’orrore mantiene una irriducibile insensatezza. L’uccisione a bruciapelo degli uomini e dei figli maschi (“altrimenti poi si vendicheranno”), la deportazione delle donne che diventa una vera  
e propria marcia della morte, costellate da stupri, torture, decisioni terribili (come le donne che soffocheranno i loro figli per non farli uccidere dai soldati), dimostrano come l’arte, lungi dal poter rendere sensata tale tragedia e da poterla spiegare, sia in grado semplicemente di accogliere il dolore per conservarlo nella memoria. I registi, infatti, alla cronaca storica prediligono la fiction, seguono le storie dei protagonisti, manifestando, come avevano già fatto ne "La notte di San Lorenzo", il loro interesse per le guerre tra fratelli (che loro stessi definiscono le più terribili). La masseria delle allodole, luogo simbolo di pace e tranquillità, viene calpestata dall’umana furia omicida che distrugge l’intera famiglia Avakian. A questa, come a tutta la popolazione armena, il film offre una speranza di redenzione che tarda ancora ad arrivare. E sebbene l’arte non possa cambiare il mondo, il cinema dei Taviani, che è sempre stato caratterizzato dall’impegno etico, offre occhi a chi vuol vedere e orecchie a chi vuol sentire.

(recensione di Delio Colangelo )


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