LA LEGGENDA DI BEOWULF
 

recensione la leggenda di beowulf

 
Lui è Beowulf e su questo non ci piove. Lo ripeterà, urlando come un invasato, almeno 10 volte in tutto il film. Ma chi è Beowulf? E’ una specie di eroe vichingo truzzo che nudo se ne sta a combattere mostri e ingravidar fanciulle, protagonista del più antico poema anglosassone risalente alla metà del VIII secolo. Si sa che ad Hollywood, quando le idee scarseggiano, l’epica rappresenta sempre un’ ottima fonte d’ispirazione, ed in evidente mancanza d’ispirazione vi ricorre stavolta il premio oscar Robert Zemeckis, ormai folgorato dalla cosiddetta tecnica della “motion capture”, quel complicato procedimento per cui attraverso particolari sensori appiccicati sul corpo, un attore in carne ed ossa viene trasformato in un cartone animato (qualcuno si ricorda Polar Express?). E’ ancora l’unico e guardando i risultati si capisce il perché.  
 
Qui il discorso si farebbe lungo e complicato e comprenderebbe la sperimentazione, l’uso di nuovo tecnologie, il futuro del cinema e via discorrendo. Ci limitiamo a dire che se l’uso del digitale ci consente di poter immaginare Angelina Jolie nuda in cambio di una serie di fantocci oggettivamente brutti dal volto inespressivo e i movimenti goffi e irreali, allora chissenefrega, meglio la Jolie un po’ più vestita  
(solo un po’) ma sensualmente viva e possibilmente vegeta. A maggior ragione se nessuna espressività poetica esiga una forma di tal fatta, come avveniva per esempio in A scanner darkly, dove l’effetto non era forse eccelso, ma si comprendeva una funzionalità rispetto al racconto. In Beowulf (ma come caspita si pronuncia?) invece, oltre a qualche mostro bavoso di dubbio gusto e alla infantile curiosità di vedere com’è Anthony Hopkins in versione pupazzo guitto (uguale al vero, almeno nel suo caso), non abbiamo trovato altra plausibile motivazione. Dall’altra parte si è visto che, in ambito decisamente più blockbuster, l’interazione tra scenari digitalizzati e attori in carne ed ossa funziona e funziona alla grande (Sin City o 300), soprattutto quando si vuole raffigurare una vicenda esemplare e senza tempo. Allora sì che si riesce a coniugare perfettamente l’epica, il pathos, il realismo, la surrealtà, lo spettacolo, la storia, la morale, l’invenzione. Altrimenti è solo un ibrido, né vero né finto, di cui continuiamo a non afferrare il senso. Abbastanza fedele al poema originale che tanto non leggerà mai nessuno, il Beowulf di Zemeckis potrà giusto servire come bignami per studenti liceali intolleranti all’inglese antico. Quando il cinema ha una funzione sociale.


(recensione di Mirko Nottoli )


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