LA GIUSTA DISTANZA
 

recensione la giusta distanza

 
"In un paesino di quattro anime alle foci del Po, Concadalbero, il tempo sembra essersi fermato: la dimensione rurale del paesaggio sommerso da coltri di nebbia, l'apparente diffidenza degli abitanti, una continuità monolitica e persistente con la ruotine quotidiana. L'arrivo dalla Toscana di una bella e giovane maestra elementare, Mara, chiamata a sostituire un'anziana "collega" uscita fuori di senno, riporta qualcosa di "stranamente vitale" nello sguardo spesso assente dei paesani, tra sprazzi di desiderio e curiosità. Di tutto questo ne è testimone il giovanissimo Giovanni, giornalista in erba e inviato in incognito per "Il Resto del Carlino", che documenta attraverso pungenti articoli "populisti" e locali le (rare) trasformazioni in atto nella Provincia. Anche Giovanni è attratto dalla nuova insegnante, e assiste involontariamente alla strana  
 
relazione che si crea tra lei e il meccanico tunisino Hassan, una storia che inizialmente aveva connotati torbidi (lui la osservava di sera e di nascosto sotto casa) e che diventa tangibilmente concreta sotto gli occhi di tutti. Anche se aveva stretto amicizia con un laido tabaccaio sposato a una rumena e sperato goffamente in un appuntamento con un giovane autista di scuolabus promesso sposo, la  
giovane trova difficoltà a inserirsi in una realtà sociale tanto arcaica e diversa. Forse proprio per questo trova qualcosa in comune con Hassan: condividono entrambi, pur diversi per estrazione culturale e geografica, una sorta di alienazione con il mondo che li circonda. Ma poi finisce tutto in tragedia, con il corpo dell'insegnante che, la mattina della sua prematura partenza per il Brasile, viene ripescato nel fiume: è stata uccisa la notte precedente, forse proprio a casa sua. Al processo, il tunisino viene accusato dell'omicidio e condannato a 16 anni di carcere: l'uomo si uccide e scrive un'inerme confessione in cui si dichiara(va) "innocente. Spetterà proprio a Giovanni, diventato collaboratore del Resto del Carlino a tempo pieno, e trasferitosi a Padova, riesumare il Caso e trovare il vero assassino di Mara, nonostante le raccomandazioni del suo Capo (Bentivoglio) sulla "giusta distanza da utilizzare nel raccontare fatti che possono riguardare indirettamente anche chi li scrive". "Vent'anni dopo il bellissimo "Notte Italiana" Mazzacurati torna (è il caso di dirlo, paradossalmente) nel "Luogo del delitto": il paesaggio è quello dove è incluso il piacere di ritrovarsi nelle "piccole cose di un tempo", con uno sguardo meno elegiaco di quello dell'ultimo Olmi e sicuramente vicino al lirismo di Fellini quando raccontò, in "Amarcord", la Rimini della sua infanzia (il capolavoro di Fellini del resto è citato proprio in una sequenza, quello della vecchia maestra del paese, ormai incapace di intendere e di volere, seduta inerme su un traghetto...). Cosa è cambiato dai tempi di quell'esordio? La nostra meschinità, forse? Un Piccolo Mondo campanilista e bigotto, sempre alla ricerca di un'improbabile "nemico locale", oggi trova modo di scagliare le proprie tensioni e frustazioni sul "nemico esterno", rendendolo inerme, indifeso, e indifendibile (cfr. persino gli avvocati processano "le intenzioni"). "La giusta distanza" non vuole processare esclusivamente il Nord-est di oggi, ma proprio quel tipo di collocazione geografica (una, tra le tante) che rischia di mettere nello stesso piano il mondo degli extracomunitari o la diversa collocazione ambientale di qualcuno. In un paese dove le radici culturali e religiose sembrano molto più importanti di quanto siano in realtà, è facile ritrovare nelle immagini di questo film e nella sua storia qualcosa della Ritualistica Provincia Italiana già raccontata da Eraldo Baldini nelle sue inquietanti storie di (appunto) Nebbia e Cenere. L'invettiva autoriale di Mazzacurati è potenzialmente degna di Loach (Cfr. Un uomo viene accusato ingiustamente perchè musulmano e straniero, l'intero villaggio alla fine si stringe nella difesa accanita e nichilista del "vero" assassino, a modo suo Cittadino Esemplare), peccato solo che qualche eccesso poetico e un certo manierismo nel descrivere i personaggi minori del luogo (su tutti, un pur notevole Battiston alle prese con un personaggio "altrettanto potenzialmente e prevedibilmente" degno di essere indicato come "colpevole") finisca per mortificare in parte (ma solo in parte) la denuncia sociale del film. Ma tutto sommato "La giusta distanza" resta un buon film, e risolleva le sorti di Mazzacurati dopo prove non troppo felici come "L'amore ritrovato". La sceneggiatura, romanzata da Claudio Piersanti, riesce piuttosto bene a raccontare una realtà sempre in bilico tra ieri e oggi, tra dimensione rurale e tecnologia (cfr. il computer dove Giovanni scrive i suoi articoli in incognito) e il tema del film riesce ad alleggerire sia l'imminente dramma in cui sfocia il film, sia una certa, opprimente sensazione di opera adattata e circuita proprio negli spazi geografici in cui è ambientato la pellicola (v. il dialetto veneto, la vicina Padova del caffè pedrocchi, gli avvenimenti locali del Nord-est, gli articoli locali del Gazzettino, etc.). I personaggi, sia che vivano in perenne conflitto e armonia sulla loro terra - come il personaggio curioso di Giovanni al capezzale del suo Pigmalione (Fabrizio Bentivoglio), alla ricerca di una nuova vita professionale e affettiva, sia che siano originari di altri Paesi (come il tunisino Hassan) o di altre Regioni (Mara, toscana) sembrano voler trovare una Risposta esistenziale che reclami per questo le Ragioni dell'attuale appartenenza, o una conferma delle loro stesse scelte. In questo contesto, anche la tendenza a fornire una macchietta di certi stereotipi locali risulta condivisibile. Da segnalare comunque l'ottima direzione degli attori, soprattutto gli esordienti: Valentina Codevini, nei panni di Mara, ha un volto che sembra di conoscere già da anni, ed è così anche per Giovanni Capovilla, una sorta di Silvio Muccino meno spocchioso. Eccellente la prova di Ahmed Hafiene, anch'esso al suo primo film. Conferme per Battiston e Bentivoglio, ma indubbiamente più sorprendente e meno prevedibile il personaggio di Natalino Balasso. Al di là di tutto, comunque, il film non offre alcuna risposta ideologica agli appassionati del cinema d'impegno civile, e in tempi di V-day o antipolitica è meglio così. I nostalgici del cinema di genere, invece, possono pregustare una stagione che risveglia l'interesse per questo tipo di storie, nobilitate dalla vena autoriale di Mazzacurati, o - chissà - forse semplicemente oscurate dalla nebbia che attraversa la pianura di Concadalbero e il perenne senso "autunnale" di questa eterna Provincia Italiana".


(recensione di Luca D'Antiga )

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