LA FINE E' IL MIO INIZIO - RECENSIONE
 
locandina la fine è il mio inizio
Locandina "La fine è il mio inizio"

la fine è il mio inizio - recensione

 
Andare contro la grammatica del cinema, che trova la ragion d’essere nel ritmo impresso dal montaggio, per sostanziare un testamento spirituale. Fare breccia nel cuore del pubblico partendo dall’ascolto di un film ostico, giocato sulle pagine di un libro-confessione, con inquadrature a camera fissa alternate a impercettibili movimenti di macchina; quattro personaggi in un interno (e qualche panoramica mozzafiato) che si raccontano, senza flashback, né effetti speciali. Solo parole. Ma soprattutto, puntare sull’universalità di un messaggio trascendentale: “l’unica rivoluzione possibile è quella dentro di noi”. Eccola la potenza deflagrante del Tiziano Terzani-pensiero, che rivive nelle sequenze asciutte ma dense del film “La fine è il mio inizio” (Longanesi) tratto dal bestseller dello scrittore, giornalista e  
 
viaggiatore nato a Firenze, ma cittadino del mondo, interpretato con magistrale aderenza da Bruno Ganz accanto a Elio Germano (Folco Terzani), Erika Pluhar (Angela Terzani) e Andrea Osvàrt (Saskia Terzani). Diretto dal bavarese Jo Baier, e sceneggiato da Folco Terzani e Ulrich Limmer, il film è una coproduzione italo-tedesca realizzata con Beta Film e Rai Cinema ed uscirà nelle sale il 1 aprile distribuito da Fandango in 60   recensione la fine è il mio inizio

copie. Accanto al gigante Ganz, sorprendente per la versatilità (riesce a passare con efficacia dall'iroso Adolf Hitler al meditativo Tiziano Terzani) c'è un ispirato Elio Germano a cui tocca il ruolo di Folco, il figlio dello scrittore pellegrino, che da New York viene richiamato nella casa di famiglia in Toscana per registrare le memorie del patriarca, gravemente malato. E realizzare un diario-testamento in cui sciogliere ogni nodo, prima che la morte spezzi il filo. La classica chiusura del cerchio della vita, evocata nella sequenza d'apertura di un film dal solido impianto narrativo, che non concede nulla al melò di stampo new age ma privilegia la verità, per certi versi ancora più integralista rispetto al libro. Per Tiziano Terzani, del resto, la morte è l'unica cosa nuova che può succedere a un uomo che ha compreso il nesso tra ‘niente e il tutto'. La terra? E' solo un grande cimitero pieno di fiori, alberi, grilli e stelle. E se sofferenza e paura si combattono con le armi dell'amore e della comprensione, nel grande disegno universale anche le montagne hanno molto da insegnare. Condensare il bestseller del ‘non buddista' Terzani su pellicola non è stata cosa facile. Come tutte le trasposizioni cinematografiche anche questa scontenterà qualche fan dello scrittore, a causa della visione personale del regista e dei tagli di sceneggiatura. Su tutto, però, vince la verità. La messa in scena privilegia la poesia dei luoghi (gli stessi vissuti da Terzani in vita), le sfumature dei volti, e trova la sua cifra nel dialogo padre-figlio, uomini diversi ma profondamente uguali, protagonisti di un rapporto sbilanciato, perché come tutte le figure dominanti anche Terzani padre (uomo dalle molte luci) ha gettato qualche ombra sulle vite dei suoi. Soprattutto nel giovane Folco, che solo alla fine del viaggio è riuscito ad avere la meglio sul padre, durante un litigio, episodio che non c'è nel libro ma nel film sì. Ed è l'unica libertà che si concede Terzani jr. L'intera narrazione procede a tappe forzate tra aneddoti esoterici e frasi illuminanti. Si va dai ricordi dell'infanzia modesta trascorsa da Tiziano a Firenze, ai tre decenni in cui fu corrispondente in Asia (inviato prima in Vietnam, poi nella Cina di Mao Tze Tung) per Repubblica e Corriere della Sera, fino al congedo dal mondo del giornalismo dopo la scoperta di un tumore. La consapevolezza del male incurabile spinge l'esploratore dell'io Terzani alla sua esperienza di rinascita: l'eremitaggio sulle montagne dell'Himalaya. La vita di contemplazione, tra privazioni e meditazione senza elettricità e internet, lo cambierà radicalmente, consentendogli di affrontare con maggior consapevolezza il distacco dalle cose terrene. “La morte è solo la paura di perdere tutto ciò che si ha - confida Tiziano a Folco - prima vedevo me separato da ciò che guardavo, ora mi vedo come parte del tutto”. Una lezione che, comunque la si pensi, vale il prezzo del biglietto.


(recensione di Alessandra Miccinesi)


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