LA DONNA CHE CANTA - RECENSIONE
 
locandina la donna che canta
Locandina "La donna che canta"

la donna che canta - recensione

 
Conoscere il proprio passato, sapere perché persone importanti della nostra vita hanno o hanno avuto comportamenti distanti e freddi, può rappresentare una sorta di liberazione chiarificatrice, ma anche rivelazione di verità scioccanti. Jeanne e Simon Marwan (Mélissa Désormeaux-Poulin e Maxim Gaudette), fratelli gemelli, residenti in Canada, restano interdetti quando il notaio Lebel (Remy Girard) legge loro il testamento della deceduta madre Nawal (Lubna Azabal) e porge ai due ragazzi due buste, una destinata al padre che credevano morto ed un’altra ad un fratello di cui non sapevano l’esistenza. Le ultime volontà della madre Nawal, scostante verso i figli e pensierosa, specie nelle ultime settimane prima della morte, gelosamente custodite nelle mani del fidato notaio Lebel, coinvolgono  
 
direttamente i due ragazzi nella richiesta esplicita di conoscere il passato della loro madre, cui si aggancia specularmente il loro passato. La figlia Jeanne decide di partire subito per Il Medio Oriente senza il fratello Simon, che invece la raggiungerà verso la fine delle tormentate e laboriose ricerche che tracceranno un profilo di una Nawal totalmente estranea ai propri figli. Un viaggio nel passato, nella memoria, coraggioso   recensione la donna che canta
ma timoroso per i risvolti che potrebbe avere. Da Montreal Jeanne arriva nella tormentata terra del Libano sconvolto da sanguinose guerre civili, mosse da un odio che uccide con efferatezza e crudeltà. Un viaggio che Jeanne compie anche alla ricerca della propria identità attraverso luoghi mai visti prima, la conoscenza di suoi parenti, delle inevitabili relazioni umane generate dai conflitti devastanti. La ricerca affannosa e dolorosa farà emergere la storia della madre, militante di guerra, che non si è mai piegata ai suoi aguzzini. “La donna che canta” è magistralmente diretto da un misurato ma molto convincente Denis Villeneuve, ed è ispirato alla pièce teatrale “Incendies” del drammaturgo canadese Wajdi Mouawad, presentata, lo scorso ottobre, al Roma Europa festival. Nella tragica storia di Nawal Marwan, vi è tutta la tragedia del popolo libanese diviso da conflitti religiosi e di potere, violenti e devastanti, un'umanità che si trova costretta nel dolore, nella misera e nella morte. In tanto orrore, nel bel mezzo del film, Nawal pronuncia la parola Pace ponendosi al di sopra di ogni schieramento religioso. L'epilogo sconcertante del film (quando il padre ed il fratello leggeranno le lettere a loro indirizzate e da quelle lettere riceveranno un messaggio profondo d'amore e di riconciliazione) rappresenta la concreta dimostrazione che la pace è sempre stato il principio regolatore di tutta la vita di Nawal che pur soffocandosi in quegli incendi di guerra interminabile, non è mai diventato cenere. Il pianto liberatorio, l'amore, il sorriso alla vita che si rigenera continuamente, sono i contenuti dei sentimenti profondi che Nawal lascia in eredità nelle missive indirizzate alle persone artefici della sua vita e dei suoi affetti. In quelle lettere Nawal sintetizza tutta se stessa, rompendo l'odio che lacera da tempo il suo popolo, nella conferma assoluta che le frasi delle lettere, traboccanti di amore e di perdono, testimoniano l'accettazione di se stessa e dell'altro in cui si riconosce. “La donna che canta” è un film tecnicamente perfetto, per regia, montaggio, fotografia e recitazione. La stessa divisione in capitoli permette alla storia di snodarsi molto bene nello spazio e nel tempo, percorrendo luoghi diversi sia geograficamente che per identità storica e situazione politica. Il film di Villeneuve ha già vinto importanti premi: miglior film canadese al Toronto International Film Festival; la Menzione “27 volte cinema” per il Miglior Film alle “Giornate degli autori di Venezia”, nell'ambito di un progetto speciale promosso dalla commissione Cultura ed Educazione del Parlamento Europeo; è stato scelto per rappresentare il Canada agli Oscar 2011. Assolutamente da non perdere, sono garantite due ore di ottimo cinema d'autore.

(recensione di Rosalinda Gaudiano)


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