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recensione la
città proibita
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Dopo le precedenti
incursioni nel wuxia
pian (il genere cavalleresco
epico che arriva dall'oriente)
Zhang Ymou regista
di "Lanterne
Rosse", "Non
uno di meno"
(solo per citare alcuni
titoli che amammo),
chiude il cerchio
con “La città
proibita”, dopo
la tavolozza estetica
di “Hero”
e i balzi verde smeraldo
de “La foresta
dei pugnali volanti”.
Lasciata da parte
la deriva puramente
coreografica, in questo
capitolo gli riesce
quel che rimaneva
abbozzato o assente
nei lavori precendenti.
Unire clangori di
spade ad affilate
battute, intrighi
a angosciose scelte,
ambientazioni spettacolari
a silenziosi visi
trasudanti emozioni.
Gong Li è una
bellissima, bravissima
e vibrante imperatrice
dolente che sparge
sangue e tradimenti
dovuti, Chow Yun-Fat
il potere impersonato
del boia e della rabbia,
i figli e i comprimari
perfette pe- |
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dine
che
si muovono
sulla
scacchiera
dell’inganno.
Siamo
nella
Cina
del
decimo
secolo,
durante
la dinasta
Tang.
Si avvicina
la cerimonia
dei
Crisantemi,
rito
immutabile
che
onora
gli
antenati.
Beneaguranti
fiori
oro
ovunque
e bisbigli
impostori
in ogni
angolo.
Il cerimoniale
di corte
è
rigido,
scandito
da urlatori
(parentesi
dissacratoria:
avete
presente
“E’
arrivato
l’arrotino?”)
e personale
invadente
ma necessa- |
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rio che origlia
ogni afflato.
Gli equilibri
di potere
stanno cambiando
e la rivoluzione
per ottenere
il trono è
in atto. Come
in una tragedia
pura che si
rispetti,
ogni personaggio
beve l’amaro
calice della
scelta (impossibile
non citare
Shakespeare)
e opera il
proprio destino.
Scenografico,
ridondante,
spiazzante.
Ruvido canovaccio
sanguinoso
su sete preziose.
(recensione
di Daniela
Losini )
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recensione del
film "la
città
proibita"! |
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