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recensione la
canarina assassinata
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“Dedicato alla
memoria di Alessandro
Ninchi”: con
queste parole si conclude
la commedia noir intimista
di esplicita ispirazione
postmoderna dal titolo
“La canarina
assassinata”,
prodotta dalla Movie
Factory e distribuita
a Roma (cinema Metropolitan)
e a Torino (cinema
Empire). Il soggettista
che l’ha pensata,
infatti, non è
riuscito a vedere
conclusa la sua opera,
portata poi sulla
scena con una forte
dose di grinta- ma
non senza una delicata
spontaneità-
da Daniele Cascella,
che debutta alla regia
con un lavoro evidentemente
per il cinema, ma
allo stesso tempo
sul cinema. Sì,
perché siamo
di fronte proprio
ad una di quelle che
si è soliti
definire in gergo
mise en abime, cioè
di spettacolo nello
spettacolo, rappresentazione
della finzione all’interno
di un altro meccanismo
spettacolare che lo
contiene a sua volta
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e che
ancora
in questo
caso
si rivela
ambiguo,
pronto
a rivoltarsi
cambiando
tutte
le carte
in tavola
proprio
quando
avevate
creduto
di attribuire
un ruolo
a ciascuna
“pedina”
e di
riuscire
a incastrare
nella
categoria
dei
vinti
tutte
le figure
apparentemente
deboli
e in
quella
dei
vincitori
tutti
i potenti.
Sono
davvero
le carte,
più
precisamente
i tarocchi,
le chiavi
di volta
per
riuscire
ad afferrare
la vera
fabula
di questo
film
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dalla struttura
complessa
come quella
delle matriosche:
se la sinossi
potrebbe apparire
come la più
scontata e
ripetitiva
della storia
di tutti i
tempi, cioè
quella autoriflessività
che vede un
regista italiano
alle prese
con le difficoltà
economico
produttive
della realizzazione
effettiva
di un film
e che si trasferisce
per le riprese
nella villa
della ricca
signora Anna
(Caterina
Vertova),
non si immagina
neanche quanto
conti ciò
che il Bagatto
ha organizzato
per tutti
gli altri.
Qui si vede
da subito
senza capire
il perché
il maggiordomo
(Paolo De
Vita) diriga
come un regista,
mentre il
vero regista,
Franco, interpretato
da Ignazio
Olivia, oscilla
tra le pretese
dell’arrampicatore
sociale e
produttore
Ravelli (Bruno
Armando) e
i suggerimenti
onirici della
splendida
figura del
vero “Dio
del cinema”,
un Remo Remotti
nel suo stesso
ruolo. Questa
figura astratta
e forte spalanca
un inizio
film di surreale
derivazione
pasoliniana
nel condurre
il ragazzo
all’interno
della sala
di un cinema
Paradiso deserto,
come metafora
della desolazione
del paradiso
dei veri registi
italiani.
Come in “Uccellacci
uccellini”(1960)
l’idea
si rende materia
concreta al
punto da far
esordire il
becchino Preziosi
(Ciro Sacalera)
con la frase
“E’
arrivata l’ora!”,
al momento
del suo incontro
con Ravelli.
E c’è
ancora una
volta Pasolini
nella presenza
molteplice
dei tableaux
vivants che
intervallano
le scene centrali
del primo
atto, immagini
ferme come
dipinti che
raffigurano
la villa nella
sua icona
statica, in
contrapposizione
a come invece
essa ci appare
osservandola
dall’interno,
con una macchina
da presa che
rompe i muri
e attraversa
le stanze
sul modello
dello stile
del grande
regista Jean
Renoir ne
“La
regle du jeau”(1936)
in cui sempre
il gioco di
ruolo appariva
di rilevanza
centrale.
Non va ignorata
l’importanza
dei manifesti
dei grandi
classici sullo
sfondo e il
chiaro riferimento
felliniano,
ripreso poi
nella scena
del provino
di Pamela
(Chiara Arancini),
attacco pungente
al trionfo
dell’ignoranza
che impera
nel mondo
dello spettacolo
in Italia,
quel mondo
nel quale
si va avanti
spesso per
raccomandazione
a discapito
della meritocrazia,
quel mondo
nel quale
purtroppo,
come dichiara
apertamente
Ruggero (Michele
De Virgilio)
«…capita
a molti di
essere depressi
nel nostro
lavoro, dalle
stelle alle
stalle».
Allo stesso
modo in cui
emerge possente
la forza del
passato del
cinema si
affaccia qui,
attraverso
la rappresentazione
dell’attuale,
la speranza
di un messaggio
di purezza,
come una sottesa
esortazione
alla redenzione
e all’onestà,
in onore della
necessità
di fare giustizia:
ecco che il
solo grande
difetto del
film, quello
di racchiudere
in se’
fin troppi
intenti, al
punto da sminuirne
il valore
l’uno
con l’altro,
diviene un’ulteriore
e preziosa
qualità
nel momento
in cui questi
messaggi non
se ne vedeva
l’ombra
da un bel
po’di
tempo. Una
nota di merito
è da
attribuire,
a nostro avviso,
al montaggio
video a cura
di Lilla Lombardi
e in particolar
modo al montaggio
audio della
Movie Sound,
in quanto
il ritmo conferito
ad alcune
scene fondamentali
scaturisce
da una saggia
ed equilibrata
scelta di
accordi e
toni, che
divengono
intrinsecamente
parte dei
variabili
umori dei
personaggi.
(di Ilaria
Abate )
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