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recensione la
bussola d'oro
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Il destino dell’umanità
è in serio
pericolo; una sola
bambina sarà
l’agente che
determinerà
il futuro. Da simili
presupposti, prende
avvio "La Bussola
d’oro",
la nuova saga fantasy
che si cimenta nell’arduo
compito di lenire
le sofferenze di tutti
coloro che si reputano
orfani de" Il
signore degli anelli".
Tratto dal primo volume
della celebre trilogia
di Philip Pullman
"Queste oscure
materie", il
lungometraggio narra
le eroiche gesta espletate
dalla dodicenne Lyra
Belacqua al fine di
ritrovare l’amico
Roger misteriosamente
scomparso. Ma la somma
in palio, ben presto,
si rivelerà
essere assai più
scottante; addirittura,
ne vale della salvaguardia
del libero arbitrio.
Contro il malevolo
Magisterium, supportato
dall’Intendenza
Generale per l’Oblazione,
Lyra dovrà
opporre tutta la sua
precoce risolutezza
e volenterosa |
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audacia.
A guidare
la giovane
nelle
sue
scelte
sarà
un bizzarro
strumento
in grado
di prevedere
il futuro:
l’aletiometro,
ovvero
la bussola
d’oro
del
titolo.
E se
gli
avversari
sono
numerosi,
gli
amici
su cui
la fanciulla
può
contare
non
sono
certo
esigui,
tanto
da annoverare
fra
i suoi
alleati
i gyziani,
la strega
Serafina
Pekkala,
l’aviatore
Lee
Scoresby
e l’orso
corazzato
Iorek
Byrnison.
Da una
dorata
Londra
avveniristica
in cui
gli
umani
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possono dialogare
costantemente
con il proprio
daimon, ossia
un animale
che funge
da voce interiore
alla stregua
di un collodiano
grillo parlante,
la nostra
eroina e i
suoi compagni
d’avventura
verranno catapultati
nei freddi
e argentati
territori
del Polo Nord.
Ma nella luce
misteriosa
dell’Aurora
Boreale, l’epico
scontro fra
il Bene e
il Male è
soltanto all’inizio.
La Bussola
d’oro
è pura
narrativa
fantastica
per immagini,
che si allontana
decisamente
sia dal filone
sword and
sorcery del
romanzo d’avventura
sia dalla
più
classica heroic
fantasy; descrivendo
tuttavia una
storia straordinaria
con ampi scostamenti
dalla realtà.
Un’
esordiente
Dakota Blue
Richards è
in grado di
calarsi perfettamente
nel suo personaggio;
ma colei che
riesce a magnetizzare
il grande
schermo è
l’algida
Nicole Kidman,
che mai finora
era apparsa
così
perfida come
nei panni
di Marisa
Coulter. Eppure,
il resto del
cast di stelle
brilla poco
e la loro
presenza si
affievolisce
ben presto.
Riguardo al
testo filmico,
dopo un intrigante
prologo in
grado di schizzare
con decisive
pennellate
l’atmosfera
che circonda
il Jordan
College e
di trasmettere
allo spettatore
un ritmo incalzante,
l’opera
affastella
pedissequamente
eventi su
eventi in
modo goffo
e incerto.
Alla fine,
sarebbe più
corretto definire
il regista
Chris Weitz
un eccellente
metteur en
scene, un
abile confezionatore
d’immagini,
attento alla
forma ma poco
alla sostanza.
(recensione
di Maria
Cristina
Caponi)
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