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Sergio Rubini è un artista sensibile, profondo, che più di una volta ha dimostrato competenza e professionalità nel saper interpretare e raccontare fatti, storie e personaggi, spesso soggetti particolari. Se "Colpo d'occhio", suo lavoro di regia del 2007, non è stato riuscitissimo, "L'uomo Nero" riscatta a tutto tondo l'impegno e la bravura di Rubini, qui regista ed attore protagonista, che racconta uno spaccato di vita familiare della provincia barese, con squisita ironia e leggerezza poetica. La storia inizia con l'estremo saluto che, sul letto di morte, Gabriele Rossetti (Fabrizio Gifuni) porge al padre Ernesto (Sergio Rubini). Gabriele, tornato in Puglia per dire addio al padre, sente riaffiorare i ricordi della sua infanzia. Ricordi legati ad emozioni, affetti, situazioni vissute, che hanno significato per lui crescita, formazione, |
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ma anche timori e paure represse. La
storia si snoda evocando l'infanzia di Gabriele, scandita da figure familiari chiave come il padre Ernesto, la madre Franca (Valeria Golino) e lo zio Pinuccio (Riccardo Scamarcio) figura scanzonata, fratello della madre, che vive in casa Rossetti. Il bambino Gabriele (Guido Giaquinto) dai grandi occhi espressivi ed
innocenti, cerca risposte impossibili al bizzarro comportamento di suo padre Ernesto, |
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capostazione, uomo miseramente insoddisfatto, che tenta di riscattare la sua autostima proponendosi, con scarso successo, come autore di dipinti. Spesso, il Gabriele bambino evade dal mondo reale inseguendo visioni, frutto della sua fantasia, di cui fa parte un uomo grosso e minaccioso, annerito dalla fuliggine, che altro non è che la trasposizione visionaria dell'emozione negativa del ruolo che suo padre Ernesto ha sulla sua inerme e tenera coscienza di fanciullo. Ed è così che il piccolo Gabriele cresce con un desiderio forte e spiazzante: non assomigliare mai a suo padre nell'età adulta. "L'uomo nero" è un film che colpisce il bersaglio, centrandolo in pieno. Se, nel film, l'insoddisfatto personaggio di Ernesto, costretto in un immobilismo culturale paesano della splendida terra di Puglia, non riesce a cogliere "l'aria" che aleggia intorno al vero dipinto del Cezanne (di cui tenta irrimediabilmente di realizzare una copia assai simile all'originale), Sergio Rubini, regista ed attore, coglie la cultura, le relazioni, i rapporti parentali , le caratteristiche che definiscono le singole aspettative di ruoli individuali e sociali. Rubini rende alla perfezione il quadretto, alla bene e meglio coeso, di una famiglia della media borghesia meridionale pugliese, che deve patteggiare la propria esistenza di soggetto individuale e sociale con ipocrisie, invidie e gelosie, responsabili dell'insopportabile immobilismo culturale del paese. Uno sguardo straordinario, pieno di sentimento e forza introspettiva, reso in modo autentico, leggero e divertente, senza che la profondità e l'acutezza del messaggio ne abbiamo a risentire. "L'uomo nero" ha il grande merito di saper rendere l'umanità semplice e schietta di un piccolo mondo della provincia barese, filtrata attraverso i colori unici della terra di Puglia, che la fotografia di Fabio Cianchetti coglie magistralmente in tutte le possibili sfumature. Il film, in definitiva, riesce a
tratteggiare la sostanza che costituisce nello specifico il sapore di uno spaccato culturale, ricco di dinamismi in ogni propria rappresentazione sociale. Molto valida, come sempre, la recitazione di Valeria Golino, senza nulla togliere anche a Riccardo Scamarcio.
(di Rosalinda Gaudiano)
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