L'UOMO DELL'ANNO
 

recensione l'uomo dell'anno

 
L’uomo dell’anno, nuovo film del regista Barry Levinson, pone una irriverente domanda “Può un comico diventare presidente degli Stati Uniti?”. Potremmo rispondere di si, ripensando alle innumerevoli gags che hanno costellato l’amministrazione Bush. Probabilmente un comico già è diventato presidente degli Stati Uniti e ciò dimostrerebbe l’inevitabilità del potere. Perché se il potente è comico e sfiora il grottesco, questo vuol dire che il potere si regge indipendentemente da chi lo incarni. Ma il film non si preoccupa di questo. È una commedia che punta tutto sulla grande abilità di Robin Williams e sulle sue indubbie qualità clownesche. Dopo baby-sitter, peter pan uomini bicentenari, non poteva coronare meglio la sua carriera recitando egregiamente la parte di un comico che aspira niente di meno che alla Casa  
 
Bianca. Tom Dobbs, infatti, spopola con un talk show televisivo in cui fustiga tutti i politici indipendentemente dal loro orientamento. La sua è una lingua abituata a battere il tamburo, a mostrarsi sincera e tagliente agli occhi del pubblico. Di qui l’idea di candidarsi: la fama e la purezza d’animo sono doti più importanti di una certa competenza politica (e la cosa non ci stupisce vista la nutrita schiera di show-girls,  
attrici, saltimbanchi che popolano il nostro parlamento). Sostenuto dal suo manager Jack Menken (il bravo Christopher Walzer) e da un furbo autore (Lewis Black) intraprende una brillante campagna elettorale che, tra una freddura e battuta poco pollitically correct, lo porterà dritto dritto alla vittoria. Tom Dobbs diventa il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Ma, prima del suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, viene informato del fatto che è diventato presidente solo grazie ad un errore del software. Quale decisione prendere? Tornare ad essere il comico Tom o entrare nell’ingranaggio politico come presidente Dobbs? Ma la domanda più inquietante che il film ci lascia è: abbiamo visto solo una divertente commedia o la cruda rappresentazione di una prassi consolidata?

(recensione di Delio Colangelo )


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