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l'isola di ferro
recensione
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Presentato alla “Quinzaine
des Réalisateurs”
del Festival di Cannes
2005, ottenuto la
qualifica d'essai
dalla Direzione Generale
per il Cinema del
Ministero dei Beni
Culturali nel marzo
2006, “L’isola
di ferro” è
il secondo film di
Mohammad Rasoulof
(il primo, “The
Twilight”, ha
avuto numerosi riconoscimenti
in tutto il mondo).
Ispirato a un suo
spettacolo teatrale,
il lavoro del regista
iraniano analizza,
simbolicamente, una
comunità fortemente
influenzata da un
leader carismatico
e onnipotente: un
capo che abusa del
suo potere, dichiara
Rasoulof, “anestetizzando
la gente con le parole”
(tema quanto mai universale).
Tutto un microcosmo
di speranze, di sogni,
di sottomissione,
di ingiustizie, di
delusioni, di tradimenti,
di violenze ed inganni…
Un mondo da cui sembra
impossibile evadere
(la parabola che |
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permette
di ricevere
le immagini
televisive
viene
buttata,
i giornali
che
vengono
distribuiti
sono
vecchi…),
eppure
l’opera
tende
a un
finale
ottimista:
il vecchio
che
per
l’intero
film
fissa
il sole
sperando
che
qualcosa
stia
per
succedere,
alla
fine
inizia
a ridere;
il bambino
che
salva
i pesci
fugge,
e chiaramente
incarna
la nuova
generazione
che
forse
riuscirà
a liberarsi
dalle
condizioni
in cui
gli
altri
sono
imprigionati
(sua
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sarà
la delicatissima
e suggestiva
sequenza finale)…
La mentalità,
l’abbigliamento,
il modo di
pensare, le
tradizioni
religiose
che vediamo
sono tipiche
del Medio
Oriente, eppure
noi spettatori
occidentali
non ci sentiamo
estranei:
“L’isola
di ferro”
parla dei
nostri problemi,
delle tematiche
su cui perennemente
discutiamo,
dei pericoli
a cui anche
la “nostra
civiltà”
va incontro.
Un film pieno
di ritmo e
movimento,
che incuriosisce
e coinvolge
e che supera
facilmente
il possibile
handicap di
non essere
doppiato (scelta
giusta e coraggiosa).
“L’isola
di ferro”
è apparentemente
la storia
di una nave
che sta per
colare a picco
insieme alle
speranze e
alla fiducia
di quanti
hanno creduto
nel loro capo,
più
che una nave
“un
relitto”
(e il termine,
come ha indicato
un critico,
è già
in qualche
misura sinonimo
di emarginazione)
. In realtà
è un’opera
corale, una
mirabile pittura
d’insieme
dove nessun
personaggio
è privilegiato
a discapito
di un altro.
Protagonista,
sottolinea
Rasoulof,
“è
la comunità
tutta intera:
limitata,
confinata,
prigioniera
di regole
del tutto
arbitrarie”.
Un lavoro
che chiunque
dal cinema
voglia qualcosa
in più
di un passatempo
banale e inutile
non dovrebbe
assolutamente
perdere: una
boccata d’ossigeno
per l’intelligenza
e la sensibilità
di ognuno
di noi.
(di Leo
Pellegrini
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di ferro"! |
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