L'IMBROGLIO NEL LENZUOLO
 
locandina l'imbroglio nel lenzuolo

recensione l'imbroglio nel lenzuolo

 
Dal titolo potrebbe sembrare un soft-porno degli anni '70. Invece no, L'imbroglio nel lenzuolo è il nuovo film di Alfonso Arau dove il lenzuolo sta per quel pezzo di stoffa bianca che si usava per schermo nei primi spettacoli cinematografici e l'imbroglio è l'illusione creata dai fratelli Lumiere che su quel lenzuolo facevano apparire reali cose inesistenti. La magia del cinema si dirà. Ebbene sì. Siamo nella Sicilia dei primi del Novecento, tra credenze popolari, tradizioni rurali, la faticosa realizzazione dell'unità d'Italia, si muove un gruppo eteroclito di personaggi: un giovane che già sogna di fare il regista, una ricca giornalista che giunge dal nord, un allupato impresario teatrale, una lavandaia sensitiva che toglie il malocchio, un console inglese. Ritroviamo tutto il peggio del cinema di Alfonso Arau che toccò il suo apice nel  
 
"Profumo del mosto selvatico", cinema ridondante e artificioso nella messa in scena, melodrammatico incline al pacchiano, passionale a tutti i costi anche quando manca la passione, qui passionalmente fotografato da Vittorio Storaro che sarà anche un monumento nazionale ma quelle luci calde e rossicce non si possono più digerire. Tornatore potrà piacere più o meno ma francamente è un paio di spanne   recensione l'imbroglio nel lenzuolo
sopra. Produce Maria Grazia Cucinotta che deve essersi accorta che se vuole fare film se li deve produrre. Mette insieme un cast internazionale e raffazzonato in cui oltre a lei, che si è preparato al ruolo disertando per mesi il parrucchiere, brillano la ex Nikita Anne Parillaud, imbalsamata in un' espressione attonita, e Geraldine "occhi sbarrati" Chaplin a fianco di Nathalie Caldonazzo. E poi Primo Reggiani nel ruolo del protagonista ed Ernesto Mahieux in quello del produttore Gennarino Pecoraro. Ha provato poi a lanciare la pellicola incentrando la campagna pubblicitaria sul suo primo nudo "integrale" ma con scarsi risultati, vuoi che quel poco che si vede (in odore di controfigura) si vede di sguincio ripreso a distanze siderali, vuoi che quelli disposti a pagare per vedere l'ennesima pseudo erede di Sophia Loren senza veli (un'altra è stata Barbara Chiappini!), passata direttamente da presunta bond-girl uccisa sui titoli di testa a saltuaria ospite di Verissimo su Canale 5, a produttrice di non si sa quali film al soldo della regione Sicilia, si conteranno sul palmo di una mano. L'imbroglio nel lenzuolo si salva dal temutissimo pallino nero solo grazie a Primo Reggiani che dimostra di sapersi barcamenare anche quando è braccato da una sceneggiatura in cui il ridicolo involontario incombe e alla bella contrapposizione appena sfiorata da Arau tra il cinico realismo della scienza e il sogno effimero del cinema: entrambi cercano di sconfiggere la morte ma solo il secondo ci riesce davvero. Purtroppo però nel decantare la magia del cinema con un film come questo si corre il serio rischio di smentire le parole con i fatti.

(di Mirko Nottoli )


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