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recensione L'illusionista
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Sylvain Chomet ci ricorda per negazione che siamo nell'epoca dell'animazione tridimensionale e degli effetti strabilianti, che il cinema cui siamo abituati è scandito da trame complesse, che la parola è protagonista quanto l'immagine. L'illusionista è in fondo questo: un malinconico gioco di prestigio che ci fa avvertire il cinema d'animazione contemporaneo attraverso la lente vintage di una sceneggiatura di Jacques Tati. La magia è tutta in quella scena paradossale in cui il vecchio prestigiatore entra in una sala cinematografica dove è proiettato un vecchio film in live action.
L'illusionista è una lenta macchina del tempo, costruita di frammenti di memoria: l'animazione riprende le tecniche degli anni Cinquanta con disegni un po' abbozzati e colori tenui, una rock band ci ricorda i cinque di Liverpool, Parigi ed Edimburgo |
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acquisiscono una atmosfera decisamente retrò con automobili d'epoca e ritmi rallentati e infine vi è un ritorno a un cinema quasi muto con quattro parole in francese e due in gaelico. Il protagonista di questa fantasmagoria cinematografica è realizzato sullo stampo di Jacques Tati: stessa fisicità alta e vagamente goffa, stesso impermeabile
e stesse grandi mani nodose. L'intero film è un omaggio dal gusto |
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nostalgico e retrò allo stesso Tati il quale a sua volta aveva dedicato la sceneggiatura figlia, Sophie Tatischeff. Fu proprio lei, incantata dalla visione di Appuntamento a Belleville, nominato all'Oscar nel 2004, a pensare che l'ultima sceneggiatura del padre si sarebbe ben adattata allo stile di Chomet. "Sophie Tatischeff non voleva che nessuno dei tratti così familiari del personaggio dell'illusionista fosse interpretato da un attore che non fosse suo padre" ricorda Chomet "L'animazione è sembrata da subito la soluzione ideale, il mezzo che forniva la strada perfetta risolvendo il problema con la creazione di una versione animata di Tati che ripartisse da zero". Purtroppo la donna non poté vedere il risultato del film di Chomet, perché morì pochi mesi dopo il primo contatto con il regista, ma il lavoro sulla sceneggiatura andò avanti grazie alla collaborazione con gli altri membri della famiglia. Sarà anche per tutti questi defunti il cui ricordo è aleggiato intorno alla sceneggiatura, o sarà invece perché Tati voleva fare un film sulla più inevitabile e incontrollabile delle trasformazioni del mondo sensibile, lo scorrere del tempo, fatto sta che L'illusionista è un film crepuscolare. Al centro vi troviamo la fine dell'epoca del music hall e l'avvento del rock and roll, raccontata attraverso gli occhi di un mago parigino e il suo rapporto con una bambina scozzese che adotta e cresce, finché la vita non li separa. Lo sfondo è costituito da una serie di personaggi e figuranti dall'aspetto circense: nani, trapezisti e clown che si muovo nel teatro e attraverso la città. Un film fuori tempo, che fa danzare le immagini con una grazia e un ritmo solo suoi, come quando la chiusa del film sembra dare un mesto addio alle cose e alle persone. Certo non un film facile da proporre al grande pubblico, tanto meno ai bambini, ma che sarà apprezzato dagli amanti di un cinema francese che adesso non c'è più e che si esprimeva tramite i gesti e le movenze.
(di Maria Silvia Sanna)
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