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Prima di morire, nel
1996, Krzysztof Kieslowski
aveva elaborato, insieme
allo sceneggiatore
Krzysztof Piesiewicz,
il progetto per una
trilogia intitolata
“Le Paradis,
L’Enfer, Le
Purgatoire”.
Già prima dell’acclamatissimo
“No man’s
land” Tanovic
aveva deciso di impegnarsi
nella realizzazione
di questo trittico,
e finalmente oggi
abbiamo la fortuna
di vedere realizzato
il primo di questi
film in programma.
“L’Enfer”
racconta di tre sorelle
divise da una terribile
tragedia familiare
che ha segnato così
tanto le loro vite
da corrodere i rapporti
fino a farli scomparire.
La maggiore, Sophie
(Emmanuelle Beart),
soffre intensamente
per l’adulterio
del marito; la più
giovane Anne (Marie
Gillain) è
una studentessa di
architettura travolta
da un amore totalizzante
per un suo docente;
invece Céline,
interpretata da un’enigmatica
Karin Viard, è
l'unica che |
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ha ancora
la forza
e la
volontà
di occuparsi
dell’anziana
madre,
ormai
stabile
in una
casa
di riposo.
Un uomo
venuto
dal
nulla
si avvicinerà
a poco
a poco
a Céline,
ne conquisterà
la fiducia
e, svelando
un segreto
tenuto
a lungo
sepolto,
sarà
in grado
di sconvolgere
l’intera
sua
esistenza,
assieme
a quella
delle
altre
componenti
della
famiglia,
pur
distanti
da tempo.
Dunque
questo
primo
capitolo
della
trilogia
di |
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Tanovic parla
del dramma
del non detto,
dell’eterna
e imperscrutabile
compenetrazione
tra bene e
male, del
destino e
della casualità
che in qualsiasi
momento possono
intaccare
non soltanto
il futuro,
ma anche il
passato. Si
tratta perciò
di un film
che tocca
temi per nulla
facili da
sviluppare:
temi alti,
filosofici,
che vogliono
ricondurci
all’universale.
E Tanovic,
forte di un
talento registico
fuori dal
comune, in
quest’opera
è riuscito
a dosare gli
ingredienti
in maniera
molto sapiente
– tra
l’altro
con qualche
accenno di
disarmante
ironia macabra
-, traendone
un film intenso
e lirico che
in più
di un frangente
non ha nulla
da invidiare
all’indimenticabile
Kieslowski.
“L’Enfer”
è un
film che dà
moltissimo
allo spettatore
sia sul versante
contenutistico
sia su quello
figurativo:
è in
grado di avvicinarsi
a zone d’ombra
indicibili
del tormento
umano, grazie
ad uno stile
controllato,
tutto proteso
nella direzione
dell’emersione
dei sentimenti
e degli stati
d’animo.
Sarebbe poco
corretto però
omettere il
fatto che
alcune scelte
non sempre
sono totalmente
felici: l‘uso
di simbolismi
e citazioni,
ad esempio,
sarebbe potuto
essere più
parco e la
fotografia,
suggestiva
nei cromatismi
e nelle variazioni
chiaroscurali,
pecca di una
certa pretestuosità
nella tripartizione
dei colori
Verde/Rosso/Blu
ognuno assegnato
ad una sorella.
A conti fatti
comunque quest’opera
del regista
serbo non
può
che definirsi
complessivamente
riuscita,
considerando
anche gli
ostacoli di
sceneggiatura
sui quali
sarebbe stato
facile inciampare.
Ci permettiamo
di chiosare
con una frase
di sintesi.
“L’Enfer”
è un
film sofferto
e importante,
che si incunea
tra la luce
e l’oscurità
giù
fin nei meandri
dell’esistenza
umana, dove
amore e morte
si avvicinano
fin quasi
a sciogliersi.
(di Marco
Santello
)
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