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L'ANNO
IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO
IN V.. |
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Cao Hamburger si propone
nuovamente sullo scenario
del cinema internazionale
con questo suo secondo
lungometraggio, “L’anno
in cui i miei genitori
andarono in vacanza”,
definendo sempre più
il suo particolare
sguardo registico
con un’analisi
attenta di documenti
e fatti in un gioco
mirabile di relazioni
umane. Il 1970 è
l’anno in cui
il Brasile vinse per
la terza volta la
coppa del mondo, mentre
la popolazione era
stretta nella morsa
della dittatura del
generale Emilio Garrastazu
Medici. Attività
terroristiche, rapimenti,
torture erano all’ordine
del giorno. Gruppi
di oppositori combattevano
il regime con estremo
coraggio. Mauro (Michel
Joelsas), un adolescente
di dodici anni, si
ritrova improvvisamente
in “esilio”
nel caratteristico
quartiere di Bom Retiro
a San Paulo, letteralmente
catapultato nell’abitazione
del nonno |
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paterno
ebreo,
ma che
non
vedrà
mai
per
un’improvvisa
sorte
avversa.
I genitori
di Mauro
(padre
ebreo,
madre
cristiana–cattolica)
sono
due
oppositore
del
regime
costretti
alla
fuga
perché
ricercati
dalla
polizia
politica.
Per
Mauro,
nonostante
l’esilio,
inizia
un incessante
periodo
di scoperte,
di prese
di coscienza
sconcertanti,
di attese
infinite,
nella
speranza
di scorgere
giorno
dopo
giorno,
il maggiolino
celeste
dei
genitori,
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segno del
tanto agognato
ritorno a
casa. Quel
mondo di “melting
pot”
del quartiere
di Bom Retiro,
che tipizzava
le particolarità
etniche presenti
a San Paulo
in quegli
anni di piombo,
è filtrato
attraverso
la sensibilità
sconvolta
ma attenta
del piccolo
Mauro. Mauro
è il
soggetto in
primo piano,
dai grandi
occhi verdi
che scrutano
la rigida
personalità
di Shlomo
(Germano Haiut),
vecchio ebreo
solitario,
costretto,
volente o
nolente a
prendersi
cura del bambino.
Comunque ostile
alla nuova
situazione
di esiliato,
Mauro però
scopre nuove
certezze nella
sensibilità
innocente
di un sentimento
gratificante
che nasce
spontaneo
nell’amicizia
con l’undicenne
Hanna (Daniela
Piepszyk).
Accetta l’accoglienza
calorosa di
tutta la comunità
ebraica del
quartiere
di Bom Retiro.
Si sente positivamente
attratto dalla
personalità
solare del
giovane Italo
(Caio Blat),
militante
di sinistra
contro il
regime. Entra,
quasi in punta
di piedi a
vivere la
vita del quartiere,
a partecipare
a feste e
ricorrenze
religiose
della comunità
ebraica, senza
essere minimamente
costretto
ad accettarne
i dettami
e le regole.
Questi mondi
scanditi da
centrismi
individuali
di diversità
culturali,
che comunque
creano il
dinamismo
della vita
stessa, trovano
nel quartiere
di Bom Retiro
un minimo
comune denominatore,
nel tifo all’unisono
di tutti:
ebrei, cattolici,
militanti
di destra
e di sinistra,
bambini ed
adulti, per
la squadra
del Brasile
che si batte
per la finale
della coppa
del mondo.
Cao Hamburger,
focalizzando
le diversità
nei “sé”
dei personaggi
e nei gruppi,
propone un
tipo di cinema
fuori dai
canoni convenzionali
ed intesse
un vero mosaico
composto di
diversità,
alterità
e differenze
identitarie,
anche all’interno
degli stessi
contesti familiari.
Il risultato
è a
dir poco straordinario
per la freschezza
e l’originalità
dei contenuti,
carichi di
simbologie
che restituiscono
il vero senso
di un’umanità
diversificata
per razza,
storia, gruppi
etnici ed
ideologie,
generi ed
età
anagrafiche.
Tutte queste
diversità
si livellano
quando indistintamente
si percepiscono
parte di una
grande “immortale”
forza che
esprime il
tifo per la
squadra del
cuore. La
sensibilità
fluida e spontanea
di Hamburger,
coglie e porge
con una semplicità
avvincente
e commovente
il lato positivo
che esiste
nell’incontro
con ogni diversità,
che si compie
sempre nella
dialettica
e nello scambio
delle reciprocità.
Il film, nella
sua dimensione
di documento
antropologico,
tratta temi
scottanti
e drammatici
ma senza configurasi
come film
di genere.
La particolarità
di “L’anno
in cui i miei
genitori andarono
in vacanza”
sta nel suo
senso etereo,
poetico a
tratti addirittura
esilarante,
nel racconto
delle realtà
di vita sociali
e familiari.
Una fotografia
magistrale
di Adriano
Goldman, con
inquadrature
da grande
cinema, supportate
ad arte da
illuminazione
e movimenti
di macchina,
conferiscono
al film uno
straordinario
effetto visivo.
Il montaggio
di Daniel
Rezende è
a dir poco
perfetto nel
cogliere sia
l’essenza
vera del film
che il pensiero
del regista.
La musica
di Beto Villares
è in
profonda sintonia
con il tutto
e conferisce
quella nota
di giusta
e piacevole
vivacità
emotiva. Un
merito di
riconoscimento
va, senza
remore, ai
bravissimi
attori, alcuni
dei quali,
come Michel
Joelsas, Daniela
Piepszyk e
Caio Blat,
non hanno
mai recitato
prima di questa,
per loro,
entusiasmante
esperienza.
(di Rosalinda
Gaudiano
)
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in cui i miei
genitori andarono
in vacanza"! |
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