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recensione l'amore nascosto
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"Perché una donna, che ha partorito come una cagna, non può liberarsi del suo piccolo se ne prova fastidio, eliminandolo o divorandolo". Questa è la terribile domanda che Isabelle Huppert si pone in "L'amore nascosto" di Alessandro Capone, storia di una madre e di una figlia che non riescono ad amarsi. Tema scottante e insolito, quasi tabù, per la sua spietatezza e per la sua disumanità, quello cioè della maternità rifiutata. Danielle è una donna in preda alla nevrosi, piena di sensi di colpa per quel sentimento così naturale nell'essere umano che lei invece non riesce a provare per la figlia Sophie, vista e percepita come una nemica mortale, la quale a sua volta non può che provare odio e risentimento per quella madre che l'ha cresciuta per dovere e che la sente estranea da sè. Tra loro c'è la psicoterapista Madeleine, vissuta |
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senza madre, sposata e senza figli, che rischia di rimanere schiacciata dalla "mostruosità" di queste due donne. Ma dalla tragedia finale, proprio come un parto, sembra nascere una tenue speranza. Un film che scandaglia l'animo femminile, lasciando sullo sfondo poche, sfocate figure maschili incapaci anche solo di percepire tale dolore (il marito di Madeleine si limita a tenere sobrie conferenze scientifiche
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sull'argomento). Il regista romano dirige con grande partecipazione questo dramma, concentrandosi sulla rappresentazione dello spazio claustrofobico della clinica psichiatrica nella quale Danielle è rinchiusa dopo il terzo tentativo di suicidio e sul racconto in prima persona, in forma di autoanalisi, della stessa Danielle. Protagonista assoluta, Isabelle Huppert descrive con finezza il ritratto di questa madre devastante e devastata mentre una matronale Greta Scacchi le si contrappone nel ruolo della psichiatra.
(di Chiara Cecchini)
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